Novena di Natale – 21 Dicembre

685

Ct 2,8-14: la sposa cerca lo sposo.

Il Ct 2,8-14 è l’inno della sposa e la risposta dello sposo. La Liturgia legge l’amore dello sposo, cioè il Figlio di Dio, per l’umanità, vista come sposa. È proprio amore che induce il Figlio di Dio a Incarnarsi, prendendo Carne, Sarx (cf. II dom Avv anno C: Lc 3,6)

Saron è il nome della pianura costiera della Palestina, che si estende tra la città di Giaffa e il monte

Carmelo. Territorio fertile, Saron è evocato come simbolo di prosperità e di abbondanza. Sharon, in ebraico, traduce pianura

Le focacce d’uva (2,5). Questo particolare alimento era legato, nell’antico Oriente, ai culti delle divinità dell’amore e della fecondità. Focacce d’uva vengono menzionate dai profeti in relazione ai culti idolatrici (Osea 3,1). Alle focacce era popolarmente riconosciuto un potere afrodisiaco. In Cantico 2,5 sono un simbolo della passione amorosa, l’unica forza che può davvero guarire la “malattia” della donna, rendendola felice.

Prosegue il dialogo tra i due innamorati, sempre nella cornice della natura (la natura nel Cantico riveste una funzione di grande rilievo: ha quasi lo scopo di riflettere le emozioni che i due protagonisti stanno vivendo) che offre anche le immagini per dipingere il profilo dei due. Lei si paragona a un narciso della pianura costiera di Saron o a un giglio palestinese, che di solito è di colore rosso, un fiore evocato anche da Lui, che è, invece, comparato a un “melo” possente, alla cui ombra la donna può assidersi per riposare (ma il termine ebraico tappuah, «albero che spira profumo», può riferirsi anche al cedro e ad altre piante). Si passa, poi, con libertà, a simboli di cibo: frutti, vino, focacce d’uva, che erano forse un alimento considerato afrodisiaco e sostanzioso. Nel Cantico si usano, infatti, i luoghi comuni caratteristici del genere delle poesie d’amore, che erano diffuse in tutto l’antico Vicino Oriente.

Il brano del duetto d’amore, iniziato in 1,9, ha come méta un abbraccio. La sinistra dell’uomo è sotto il capo della donna “malata d’amore”, mentre la destra la stringe a sé in un gesto che esprime tenerezza e protezione. È interessante la definizione che la donna dà del suo uomo rivolgendosi alle “figlie di Gerusalemme” del coro: egli è ha-ahabah, cioè l’Amore per eccellenza. Cala il sipario su questa scena di riposo e di silenzio; è una storia di ricerca e di incontro, di assenza superata e di presenza cristallina.

La quarta scena del Cantico (2,8-17) è un piccolo capolavoro lirico. L’amato sta per giungere alla casa della ragazza verso l’alba. Alle spalle c’è un inverno uggioso, sta per sbocciare la primavera, la stagione che fa da fondale costante dell’opera. Il giovane, che è corso come un cerbiatto per raggiungere la sua amata, occhieggia dietro i graticci delle finestre che riparano dal caldo e dal vento del deserto. Egli lancia alla donna un invito particolarmente intenso a immergersi nella natura che sta rinascendo. Appare un simbolo caro al Cantico, quello della colomba, un animale lodato per la sua fedeltà e fecondità, per la sua tenerezza e per essere (nell’antico Vicino Oriente) un segno della dea dell’amore e della fertilità.

Lui, invece, è raffigurato come una gazzella, mobile ed elegante, che corre per prati e saltella sui colli, soprattutto su quei misteriosi monti di Beter (2,17), da alcuni intesi come luoghi dei balsami o di piantagioni profumate, da altri come un simbolo del corpo inebriante della donna. È noto che nel Cantico il corpo è esaltato nella sua bellezza e nel suo essere espressione di una comunione di passione e d’amore. Un cenno particolare merita l’oscuro versetto 15 dedicato alla cattura delle “piccole volpi” che devastano le vigne. Probabilmente si tratta di un altro simbolo animale, per rappresentare l’attacco che può essere sferrato da forze ostili all’amore e alla sua purezza. La vigna, infatti, è un’immagine della donna stessa (vedi anche 1,6). Si insinua, quindi, un’ombra nella scena luminosa finora descritta.

NB: Il 21 dicembre per noi è l’ingresso dell’inverno. Lo sposo del Cantico invece invita la sposa a uscire, perché è terminato l’inverno, è arrivato il tepore della luce di primavera. Letto in chiave cristiana il testo è particolarmente provocatorio e ironico: arriva Cristo, Sole di giustizia, che tutto trasforma e illumina.

opp. Sof 3,14-18a: Sofonia annuncia la Gioia.

Il Re d’Israele è il Signore in mezzo al suo popolo (l’Emmanuele)…Il Signore è un salvatore potente. Egli esulterà di gioia per Israele, lo rinnova con il suo amore e si rallegra del popolo con grida di gioia (inclusione).

3,14-18a. In due canti, Sion è invitata alla gioia, perché, vinti i nemici, Dio assicura la sua presenza in mezzo ad essa. Il Signore stesso si rallegra, perché viene in soccorso e rinnova il suo amore. Abbondano i sinonimi della gioia e si notano affinità Isaia (cf. Is 12,1-6; 52,7-10). Questi canti liturgici sono tra i brani più brillanti e fecondi dell’AT.

  1. Figlia di Sion e figlia di Gerusalemme: sono espressioni poetiche che indicano gli abitanti della capitale, in quanto rappresentano tutto il popolo eletto (cf. Is 54,1; Zc 9,9).
  2. ha disperso il tuo nemico: l’immagine è presa dall’assedio di una città liberata. Solenne proclamazione della regalità del Signore, che procura la gioia e la
  3. Il Signore prende parte al giubilo della capitale salvata. Non manca un’allusione al tempo del deserto, in cui avvenne il fidanzamento con il popolo liberato dall’Egitto. L’espressione dell’amore di Dio è ora riproposta, come in Os 2.

18-20. Testo oscuro che suppone il contesto della dispersione degli Israeliti. Forse è un’aggiunta posteriore. Dio stesso parla della sua opera salvatrice in favore della diaspora. Zoppicanti e dispersi: sono espressioni metaforiche prese dalla vita pastorale, indicanti coloro  che furono colpiti dalle sventure. Ristabilirò le vostre sorti: si può tradurre anche: farò ritornare i vostri prigionieri (cf. Is 35,10; 48,21; 60,6-16).

Lc 1,39-45: Maria incontra Elisabetta e Gesù Giovanni.

Il mistero della Visitazione (terza scena del I trittico lucano, detto giustamente dai Greci il mistero dell’Aspasmos, cioè del Saluto): Maria, Arca dell’Alleanza, incontra Elisabetta, incinta di Giovanni, cioè l’ultimo del grandi profeti. Il Battista è santificato e si muove nel grembo di Elisabetta, perché santificato dal Verbo, nel grembo di Maria. La Visitazione lega il NT all’AT. Elisabetta, oltre alle parole su Maria, esclama: Benedetto il frutto del tuo grembo…la Madre del mio Signore…

Nel racconto successivo della visita di Maria a Elisabetta si ha quasi il nodo che unisce le due annunciazioni e le due nascite. Infatti, le due madri portano in grembo il Messia e il suo precursore. Entrambe descrivono ciò che si sta compiendo con un canto. Inizia Elisabetta che, attraverso una benedizione e una beatitudine, esalta la missione e la fede di Maria, madre del Signore. Quest’ultima, invece, canterà l’azione di Dio con un inno, chiamato Magnificat.

Lo Sposo del Cantico in realtà con Luca arriva già nel grembo di Maria.

Rispetto a Sofonia il Signore è in mezzo al suo popolo a partire già dal grembo di Maria.

Potremmo dire che l’Incarnazione è l’accompagnamento di Dio nel Figlio suo Gesù Cristo, fin dal grembo materno. Un “compagnia” di vita: quotidiana, reale, domestica…

Dio desidera, per puro Amore, restare in mezzo al suo popolo:

Egli abita/dimora in mezzo a noi.

A cura di P. ERNESTO DELLA CORTE biblistaFile PDF completo