Pentecoste: La “lingua” che crea comunione
Le letture dell’Anno B partono – come era logico – dal testo di At 2,1-11, il grande affresco con cui Luca dipinge il prodigio che portò all’ultimo felice risultato della morte e risurrezione di Gesù: la riunione di tutti i popoli, accomunati da una medesima “lingua” che superava la confusione di Babele prodotta dall’orgoglio umano.
Cos’altro si può ancora dire su questo brano? L’ispirazione mi è venuta da un “tutti” che si ripete in modo impressionante: è riferito ai discepoli che «stavano tutti insieme nello stesso luogo», poi appare lo Spirito, che “riempie tutta la casa” dove essi si trovavano, e che poi “riempie tutti loro”, dando loro il potere di parlare in lingue rivolti a una folla di tutte le nazioni conosciute, al punto che «ciascuno di loro li udiva parlare nella propria lingua», affermazione ripetuta ben tre volte quasi a tradurre la straordinarietà incredibile del prodigio.
L’irruzione dello Spirito su tutti e tutto non può non produrre “stupore e meraviglia”, e in questa enorme dilatazione dello Spirito siamo come travolti tutti noi che, in questo giorno, riviviamo il miracolo.
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Una armoniosa diversità
Non so fare altro di meglio, in proposito, che citare un lungo brano di Aelredo di Rievaulx, che nel Sermone 68, nn. 3-5 per il giorno di Pentecoste, compone una vera e propria ode a questa “totalità” che caratterizza l’effusione dello Spirito sulla terra.
Ricordo che, in casi come questo, non si tratta di “argomentare” alla ricerca di chi o cosa sia lo Spirito secondo il metodo della teologia “sistematica”, indagine peraltro difficile e complessa, ma di cantare, con la mente e con il cuore, le meraviglie che lo Spirito opera, secondo quella che si chiama teologia “dossologica”, quella appunto che celebra la “gloria” (doxa), molto comune soprattutto nell’oratoria dei padri greci.
«Questo (dello Spirito) è l’amore che contiene il cielo. Lì ci sono angeli, arcangeli, principati e potestà, troni e dominazioni, tra i quali esistono diversi gradi, diversi ordini, diversi meriti, diversi uffici. Ma questo amore unico comprende tutti, congiunge tutti, riempie tutti pur in tanta diversità di gradi, di uffici, di meriti, e conserva tutti in una sorta di pace, di unità, di concordia degli animi. Questo è l’amore che sostiene e contiene ogni creatura, che non possiede niente di scomposto, niente di disordinato, che non lascia niente che non sia unito da una sorta di patto che crea pace. Il fuoco è caldo, l’acqua è fredda, l’aria è luminosa, la terra scura. Questi elementi così contrari sono da questo amore raccolti e confederati in ogni creatura corporea, al punto che non solo il loro stare insieme non comporta nessun inconveniente alle cose, ma, qualora non stessero insieme, la naturale compagine si dissolverebbe. Erbe, arbusti, frutti e semi, “fiere e tutto il bestiame, rettili e uccelli alati” (Sal 148,10), “pure i pesci del mare che percorrono le vie dei mari” (Sal 8,9): assolutamente ogni creatura corporale e spirituale, per l’opera di contenimento di questo amore, rimane nella sua legge naturale, mantenendo l’origine, l’ordine, la misura e il fine dovuto alla sua qualità. Questo amore altro non è se non la bontà di Dio, o la sua benignità, o la sua carità, e la stessa bontà di Dio altro non è se non lo Spirito di Dio e Dio stesso. Perciò, fin dall’inizio lo Spirito del Signore ha riempito l’universo (Sap 1,7), contenendo tutto, sostenendo tutto, ordinando e componendo tutto in armonia». (Aelredo di Rievaulx, Una rugiada luminosa. Sermoni per l’Anno liturgico, Praglia 2014, pp. 281-82).
Non ci vuole molto a cogliere la compattezza di un lessico, che ritorna a cascata, fatto di termini a prefisso con- (comprende, congiunge, conserva, contiene, confedera, comporta, concordia, compagine, e i contrari inconveniente, scomposto) mediante i quali Aelredo esprime il miracolo del raccogliersi in unità di una incredibile diversità di creature, angeliche e terrestri, con tutte le nature corporee raccolte nei quattro elementi base di fuoco, acqua, aria e terra, tra loro contrari, ma composti in unità.
Il tema di questa armonia cosmologica e antropologica doveva essere molto caro all’abate di Rievaulx, se vi ritorna nello Specchio della carità (I,59-60) e nell’Amicizia spirituale (I,53-58). Certo, è giocoforza ricordare che spesso le cose e gli uomini non presentano un quadro così armonioso: le cose con i disastri naturali, e gli uomini con conflitti e guerre continue. Aelredo lo sa bene, ma non vi si rassegna. Così, a chi gli obiettava che il suo ideale di amicizia era troppo alto per le nostre capacità, che hanno aspettative più ridotte, rispose citando Pomerio: «Il solo tentativo di arrivare a cose grandi è grande» (Am. spir. I,26).
Mi chiedo: come mantenere vivo in noi questo desiderio, questo ideale? Possiamo farlo se stiamo costantemente sotto la guida dello Spirito.
Le opere della carne e i frutti dello Spirito
La seconda lettura (Gal 5,16-25), infatti, sembra fatta apposta per rispondere al problema di un mondo che non corrisponde all’armonia e alla compostezza sognata da Dio. La radice visibile di disastri e conflitti è la nostra natura “duale”. Scrive Giuliana di Norwich: «Abbiamo in noi nostro Signore Gesù Cristo risorto, e abbiamo in noi la miseria e la rovina che ci viene dalla caduta di Adamo… A causa della caduta di Adamo la nostra sensibilità è come frantumata in diverse maniere dal peccato e da svariate sofferenze, e questo ci procura una tale oscurità e cecità che difficilmente riusciamo ad avere un qualche conforto» (Rivelazioni 52, p. 254).
E questo spiega quanto scrive Paolo circa il conflitto tra «la carne che ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito che ha desideri contrari alla carne». Le due liste che seguono circa il percorso in “discesa” della carne e quello in “salita” dello Spirito, offrono schemi utili per l’esame di coscienza quotidiano o per quando ci si prepara al sacramento della penitenza. Naturale che il punto decisivo resta il desiderio, come leggerlo, come decifrarne la direzione e come, di conseguenza, educarlo.
Qui torna a proposito riprendere Aelredo su quanto scrive a commento del detto di Pomerio citato sopra: «Per questo è proprio della mente virtuosa meditare costantemente cose ardue e sublimi con il risultato o di raggiungere quello che essa brama, o di conoscere e comprendere con maggiore lucidità quale debba essere l’oggetto del suo desiderio: si deve credere che ha già fatto un passo non piccolo chi, conoscendo la virtù, si rende conto di quanto ne sia lontano» (Am. spir. I,26, p. 116).
Lo Spirito, testimone e guida
«Camminate secondo lo Spirito – scrive Paolo – e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne». Giunge quindi a proposito il messaggio del vangelo (Gv 15,26-27; 16,12-15) che descrive come lo Spirito ci soccorra e ci aiuti a guidare il desiderio.
Il brano raccoglie due passi distanti tra loro, con la funzione di creare un mini-trattato sull’azione del Paraclito, termine che indica qualcuno incaricato di difenderci e di aiutarci. Il cuore del discorso è la “verità”, che non riguarda solo ciò che dobbiamo credere, ma altrettanto – e forse soprattutto – ciò che dobbiamo fare.
Lo Spirito anzitutto testimonia la verità di Cristo come Figlio del Padre, poi ha il compito di “guidarci in tutta la verità”, perché la fede, e la vita che ne consegue, è anzitutto un “cammino”, e questo ci consente insieme di tenere vivo e alto il traguardo, e pure di guardare con misericordia ai nostri fallimenti, il che ci mantiene nell’umiltà. Lo Spirito, infine, continuerà a glorificare il Figlio come l’ha glorificato nella Pasqua di croce e risurrezione.
Vorrei rimanere nel linguaggio dossologico che è l’aspetto più rilevante di questa festa. Con due proposte.
La prima riguarda la splendida sequenza Vieni, Santo Spirito, di cui esistono traduzioni in pratiche immaginette, da dare per esempio ai genitori dei cresimandi, magari per pregarla con loro, arricchendo il patrimonio di formule che vada al di là delle sempiterne Ave Maria.
La seconda è la traduzione di un inno francese di fr. Pierre-Yves di Taizé, che riprende alcuni dei temi esposti sopra, come la vittoria sulle inquietudini e l’armonizzazione dei desideri.
«Spirito che plani sulle acque / calma in noi le discordanze / i flutti inquieti, il rumore delle parole, / i vortici della vanità, / e fa’ sorgere nel silenzio / la Parola che ci ricrea. //
Spirito di fuoco, sempre nascosto, / fino alle radici e con la tua fiamma / vieni in noi a bruciare la zizzania / nel fondo delle nostre vite / e a conficcare in noi come una lama / la Parola che santifica. //
Spirito che soffi in un sospiro / nel nostro spirito il Nome del Padre, / vieni a riunire i nostri desideri, / falli salire come un fascio / che sia risposta alla tua luce, / la Parola del Giorno nuovo. //
Spirito di Dio, linfa d’amore / dell’albero immenso in cui ci innesti, / che tutti i fratelli che stanno attorno a noi / ci appaiano come un dono / nel grande corpo in cui si compie / la Parola di comunione» (La nuit, le jour… Hymnes et tropaires, Desclée/Cerf, 1973-74, p. 105).
E, come sintesi: Veni Sancte Spiritus, reple tuorum corda fidelium et tui amoris in eis ignem accende.
Fonte – per gentile concessione di Settimana News | Commento a cura di Nico Guerini