«Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio». Queste parole del profeta aprono la festa dell’Epifania. La liturgia vuole mostrare il cammino degli uomini verso il Signore. C’è come un’ansia di universalità e assieme di urgenza che percorre questo giorno: è il desiderio profondo della Chiesa che i popoli e le nazioni della terra si affrettino a incontrare Gesù. Egli è appena nato, non sa ancora parlare, e tutti i popoli possono già incontrarlo, vederlo, accoglierlo e adorarlo.
Non è un’ansia di proselitismo, quanto il bisogno di mostrare a tutti la bontà e l’amore di Dio che giunge sino a inviare tra noi il suo stesso Figlio. E, nel fondo del cuore di ogni uomo, c’è una nostalgia di Dio. È infatti questa nostalgia che spinge i Magi a dire a Erode: «Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». Erano uomini di regioni lontane, ricchi e intellettuali, che si erano incamminati dall’Oriente verso la terra d’Israele per adorare il «re» che era nato. Ogni credente è chiamato a uscire da sé e a compiere un viaggio verso l’Oltre. La Chiesa, che cerca di scendere nelle profondità del cuore dell’uomo, da sempre ha visto nei Magi l’intera umanità. E, con la celebrazione dell’Epifania, vuole aiutare ogni uomo e ogni donna a incontrare quel Bambino. La salvezza si gioca tutta nell’incontro con quel Bambino.
Nella notte di Natale, Gesù si è manifestato ai pastori, uomini d’Israele tra i più disprezzati; furono loro i primi a portare un po’ di calore in quella fredda stalla di Betlemme. Ora giungono i Magi dal lontano Oriente e anch’essi possono vedere quel Bambino. I pastori e i Magi, molto diversi tra loro, hanno una cosa in comune: il cielo. I pastori si mossero non perché erano buoni, ma perché alzando gli occhi da se stessi e rivolgendoli verso il cielo videro gli angeli, ascoltarono la loro voce e fecero quel che avevano udito. Così pure i Magi. Essi attendevano un mondo diverso, più giusto, e alzarono lo sguardo dal proprio mondo, guardarono in alto, verso il cielo, e videro una «stella».
E come i pastori seguirono le parole degli angeli, essi seguirono il cammino che la stella indicava. Gli uni e gli altri suggeriscono a noi tutti che per incontrare Gesù è necessario alzare lo sguardo da se stessi, scrutare le parole e i segni che il Signore pone lungo il nostro cammino. Per i Magi, come del resto per i pastori, non fu tutto chiaro immediatamente. L’evangelista nota che la stella a un certo punto scomparve. E tuttavia quei pellegrini non si persero d’animo; il loro desiderio di salvezza non era superficiale e la stella aveva davvero toccato il loro cuore. Giunti a Gerusalemme andarono da Erode per chiedere spiegazioni; le ascoltarono con attenzione e subito continuarono il loro cammino. Ma il Signore non è avaro di segni: all’uscire da Gerusalemme la stella ricomparve, «ed essi provarono una grandissima gioia», nota l’evangelista. Quando ci facciamo guide di noi stessi, ci priviamo della gioia di avere la “stella”. Sì, c’è un sollievo nel vedere la stella, ossia nel sentirsi guidati e non abbandonati a se stessi e al proprio destino.
I Magi ci esortano a riscoprire la gioia di dipendere dalla stella. E la stella è il Vangelo, la Parola del Signore, come dice il Salmo: «La tua parola è luce sul mio cammino» (119,105). Questa luce ci guida verso il Bambino. Senza l’ascolto del Vangelo, senza leggerlo, senza meditarlo, senza cercare di metterlo in pratica, non è possibile incontrare Gesù. I Magi, infatti, seguendo la stella giunsero sino al luogo ove si trovava Gesù. E qui «videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono». Probabilmente era la prima volta che si prostravano davanti a qualcuno. Ma, sapendo ormai guardare oltre se stessi, avevano riconosciuto, in quel bambino, il Salvatore. Quel gesto era la cosa più vera. Assieme a Maria, a Giuseppe e ai pastori, anche i Magi capirono che la salvezza consisteva, e consiste ancora oggi, nell’accogliere nel proprio cuore quel bambino, debole e indifeso. E, con lui, tutti i deboli e indifesi anche di oggi.
Ben diversa fu la reazione di Erode e degli abitanti di Gerusalemme. Appena seppero del bambino non sentirono gioia come i Magi o i pastori; al contrario, tutti si turbarono ed Erode lo fu a tal punto da deciderne addirittura la morte. Sono i Magi ora a salvare il Bambino e a sottrarlo alla ferocia di Erode. Quei sapienti, «per un’altra strada fecero ritorno al loro paese», nota l’evangelista. Del resto, quando si incontra il Signore e lo si accoglie nel cuore, non si resta come prima e non si può più percorrere la strada di sempre. Si cambia la vita e con essa anche i comportamenti.
I Magi sono oggi accanto a noi, anzi un poco più avanti di noi, per aiutarci ad alzare lo sguardo da noi stessi e a dirigerlo verso la stella. Sono avanti a noi per guidarci verso le tante mangiatoie di questo mondo ove giacciono i piccoli e i deboli. Beati noi, se con i pastori e con i Magi ci facciamo pellegrini verso quel Bambino e con affetto ci prendiamo cura di lui. In verità, sarà lui a prendersi cura di noi.
Per gentile concessione di mons. Paglia. – FONTE
Qui tutti i commenti al Vangelo delle domeniche precedenti di mons. Vincenzo Paglia