Per noi, uomini e donne “moderni”, circondati da una civiltà di rumori, da una molteplicità di messaggi, da un caos distraente, da una sorta di grande luna park dell’effimero, non è facile comprendere la figura di Giovanni Battista. Uomo robusto e severo, nella sua essenzialità, Giovanni è un buon compagno per riscoprire il senso vero della vita. È uno dei personaggi più venerati, dopo Gesù e la Madonna, nell’immaginario collettivo dell’ecumene cristiana.
La sua fama, irrobustita dal proliferare delle reliquie, si è estesa anche al di fuori del mondo cristiano. Basti pensare all’islam: all’interno della grande moschea degli Omayyadi, a Damasco, quasi al centro, c’è la tomba di Giovanni Battista, ancora oggi circondata da povera gente. Giovanni è una figura complessa. Già dall’inizio ha fatto discutere. Gesù apostrofò gli apostoli a proposito di Giovanni: “Che cosa siete andati a vedere nel deserto?” (Mt 11,7). C’è un tratto caratteristico del Battista: è un uomo che parla. Parla con voce forte, dal pulpito di una vita severa ed essenziale e grida a ogni uomo che deve attendere il Signore.
Giovanni però non parla per sua personale iniziativa, ma perché è stato raggiunto dalla “parola”, in quel preciso anno, in quel determinato luogo, come nota Luca: “Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio… la Parola di Dio fu diretta a Giovanni, figlio di Zaccaria nel deserto”. La “parola” non è un fatto evanescente, non è una specie di entità vagamente spirituale, e neppure un mito o un’idea. È invece una realtà storica che “scende” nelle vicende dei popoli, che ha legami con le date degli uomini, non solo con quelle del popolo di Israele ma anche con quelle dello stesso impero romano. E con quelle del nostro tempo.
E il deserto non è un luogo tanto distante da noi: è il deserto delle nostre città ove una vita degna di questo nome è spesso molto rara; è il deserto di questo mondo ove il peccato e la solitudine provocano amarezza e morte. Giovanni è un testimone e un predicatore libero dai giochi viziosi e lussuosi, libero dagli intrighi dei palazzi dei re, libero dai sollazzi degli uomini che portano morbide vesti. È un uomo povero. I suoi abiti manifestano la sua condizione di povertà: veste solo di pelo di cammello e di una cintura ai fianchi. È povero nel cibo: locuste e miele selvatico. Ma nella sua povertà è libero.
Giovanni parla con vigore e attacca farisei e sadducei svelando la loro abilità nel fingere pentimento per restare sempre uguali a se stessi. Così la sua parola non ha paura di additare quel che avviene nel palazzo del re, anche se questo coraggio gli costerà la vita. Insomma, Giovanni non giustifica l’orgoglio di quelli che si sentono sicuri perché abitano determinati palazzi o le immediate adiacenze, e neppure l’orgoglio di quelli che si sentono sicuri per chissà quali meriti, magari per essere “figli di Abramo”. L’orgoglio è lontano dal cuore di Giovanni: “Non sono degno neppure di sciogliere il legaccio dei calzari” (cfr. Gv 1,27), dice riguardo a Gesù. Quest’uomo umile sa accusare l’orgoglio e l’autosufficienza con grande fermezza. L’umiltà non è paura, non è silenzio, non è moderazione, non è spirito di adattamento. L’umile pone la propria fiducia nel Signore, e solo in Lui.
Ma la forza e il vigore non lo rendono disumano e lontano: Giovanni sa ascoltare, sa parlare, sa compiere gesti di perdono verso quella lunga fila di uomini e di donne che vanno da lui a confessare i loro peccati e a farsi battezzare con il battesimo di penitenza. È un profeta che grida. E grida perché deve fare spazio, nel caotico deserto di questo mondo, a una nuova vita. Vuole aprire nel deserto la via del Signore. L’evangelista Luca riprende le parole dell’anonimo profeta (il secondo Isaia) che descrivono il ritorno di Israele dall’esilio di Babilonia. È la narrazione di una grande strada rettilinea e pianeggiante, simile a quelle che nell’antichità conducevano ai templi, le cosiddette “vie processionali” da percorrere nel canto e nella gioia.
C’è bisogno di abbassare tante asprezze di orgoglio e di arroganza. C’è bisogno di colmare tanti avvallamenti fatti di freddezza e di indifferenza. E preparare così la via del Signore che viene. Giovanni, nella sua severa rudezza, è questa voce che grida: “convertitevi perché il Signore è vicino!”. È un messaggio semplice, ma radicale. Un orecchio abituato a queste parole potrà classificarle tra quelle già note; ma chi considera già noto quanto il profeta dice va a ingrossare il numero di quei farisei che tentano di sottrarsi al “giudizio di Dio”. Forse anche a noi è chiesto di raggiungere Giovanni nel deserto, di andare a chiedere il suo battesimo di penitenza, per sperare e operare per un mondo diverso. Così vedremo aprirsi nel deserto una via ampia, ove l’unico ingorgo – ma questo rallegra – è quello dei poveri, dei deboli, e di tutti coloro che sono in ricerca di una parola di salvezza.
Per gentile concessione di mons. Paglia. – FONTE
Qui tutti i commenti al Vangelo delle domeniche precedenti di mons. Vincenzo Paglia