mons. Vincenzo Paglia – Commento al Vangelo del 30 Maggio 2021

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La Liturgia della Chiesa, in questa prima domenica dopo Pentecoste, celebra la festa della Santissima Trinità. E non è casuale mettere in relazione la Chiesa, che muove i primi passi nel giorno della Pentecoste, con il mistero della Trinità. I discepoli, dopo aver ricevuto lo Spirito Santo, escono dal Cenacolo, ove si trovavano “per paura”, ed iniziano a comunicare il Vangelo e a battezzare i primi convertiti alla fede. Obbedivano così a quanto Gesù aveva loro ordinato prima di lasciarli: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19). Nel giorno di Pentecoste la confusione delle lingue e la divisione del genere umano, simboleggiate da Babele (Gen 11,1-9), vennero vinte dalla predicazione evangelica che, senza distruggere le differenze dei linguaggi, riuniva i popoli della terra nell’unica famiglia di Dio.

Nella festa della Trinità Dio squarcia il velo che copre il suo mistero, rompe il silenzio sulla sua vita intima (dietro la parola greca mysterion c’è appunto il significato di “tacere”) e ci fa cogliere la verità sul mondo fatto a sua immagine e somiglianza. Le Scritture sottolineano in ogni pagina l’inconoscibilità del mistero di Dio. Egli abita in una luce inaccessibile che “l’uomo non può vedere continuando a restare in vita”. Dio stesso però ha rotto il silenzio e solo Lui poteva farlo per rivelarsi agli uomini “con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso”, come dice la lettura odierna tratta dal primo dei tre discorsi solenni di Mosè nel Deuteronomio. E non basta.

Dio “molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,1-2), aggiunge la Lettera agli Ebrei. E nel giorno di Pentecoste il Signore Iddio dal cielo riversa sui discepoli lo Spirito Santo perché fosse lui come aveva detto lo stesso Gesù a guidarli verso la verità tutta intera.

Ebbene, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che oggi contempliamo nella Trinità, sono la radice, la fonte, il sostegno della Chiesa nata nel giorno di Pentecoste, segno dell’unità di tutto il genere umano. La Chiesa non nasce dal “basso”, ossia non è il risultato della convergenza degli interessi delle persone che la compongono, non è il frutto dell’impegno o dello slancio di cuori generosi, non è la somma di tanti individui che decidono di stare assieme, non è l’associazione di persone di buona volontà per realizzare uno scopo nobile. La Chiesa viene dall’alto, dal cielo, da Dio. E, ancor più precisamente, da un Dio che è “comunione” di tre Persone. Esse ma è solo un balbettio da parte nostra si vogliono a tal punto bene l’una con l’altra da essere una cosa sola. Da tale Comunione d’amore nasce la Chiesa e verso tale Comunione essa cammina, trascinandosi l’intera creazione. La Trinità è origine e termine della Chiesa, come è origine e termine della stessa creazione.

Per questo la Chiesa è anzitutto e soprattutto mistero. Mistero da contemplare, da accogliere, da rispettare, da custodire, da amare. Ed è un mistero di comunione. Solo in questa prospettiva si può comprendere la Chiesa come comunità, come un corpo strutturato. Pertanto chi ascolta il Vangelo con il cuore non è solo accolto in una comunità organizzata. È soprattutto accolto nel mistero stesso della Trinità, nella comunione con Dio. Noi viviamo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Ed è un grande e inestimabile dono. Ma è anche un compito.

La Chiesa che nasce a Pentecoste non è neutra. Essa ha nella sua stessa costituzione una vocazione: il servizio dell’unità e della comunione. Mentre il mondo in cui viviamo sembra stregato dagli egoismi di singoli, di gruppi, di categorie, di nazioni che non sanno (spesso non vogliono) alzare lo sguardo oltre il proprio particolare, oltre i propri interessi cosiddetti nazionali, la Chiesa della Pentecoste, nata dalla Trinità, ha il compito di ricreare la carne lacerata del mondo, di ritessere la comunione ferita e spesso distrutta tra i popoli. Lo Spirito effuso nella comunità dei credenti dona una nuova energia, come scrive Paolo nella Lettera ai Romani: “Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi” (Rm 8,15). E Gesù, prima di inviare gli apostoli, dice loro: “Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo” (Mt 28,20).

La forza che il Signore dona ai suoi figli cura la carne dell’umanità ferita dall’ingiustizia, dalla cupidigia, dalla sopraffazione e dalla guerra e costituisce l’energia per alzarsi e incamminarsi verso la comunione. Era il disegno di Dio sin dall’inizio della creazione. C’è, infatti, una corrispondenza tra il processo creativo e la vita interna di Dio stesso. Non a caso Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo”. L’uomo inizialmente significava sia uomo che donna non era stato creato ad immagine di un Dio solitario, ma di un Dio amore. Ogni singola persona e l’umanità intera non saranno se stesse al di fuori della comunione, solo all’interno di essa sono salvi. Il Vaticano II ricorda a tutti i credenti che Dio non ha voluto salvare gli uomini singolarmente, ma radunandoli in un popolo.

La Chiesa nata dalla comunione e ad essa destinata si trova perciò ad essere impegnata nel vivo della storia di questo nostro tempo come lievito di amore. È un compito alto ed urgente che rende davvero meschine (e colpevoli) le liti e le incomprensioni interne. Aveva ragione il grande patriarca Atenagora, quando affermava che sarebbe stato pericoloso un mondo che si globalizzava senza la spinta dell’unità delle Chiese cristiane. In effetti, una globalizzazione senza lo spirito cristiano rischia di essere senza anima. E purtroppo non mancano le conferme. La festa della Trinità è un invito pressante ai cristiani a incamminarsi con più decisone verso la loro unità visibile per essere lievito di comunione tra i popoli.

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Per gentile concessione di mons. Paglia. Commento tratto dal suo sito.