mons. Vincenzo Paglia – Commento al Vangelo del 3 Aprile 2022

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Il peccato e la ripartenza per tornare in intimità con Dio

Interrogato da scribi e farisei riguardo alla condotta da tenere di fronte a una donna sorpresa in adulterio, Gesù compie un gesto inconsueto: scrive per terra con il dito. Un atto che rimanda al dito di Dio che stila le dieci parole sulle tavole dell’alleanza; scribi e farisei, tecnicamente, sottopongono a Gesù un quesito di tipo legale.

La domanda posta è subdola: è noto, infatti, che nella prassi la lapidazione di un’adultera era caduta in disuso da molto tempo e la storia conferma che era inusuale. Quella norma esprimeva un’indicazione di ordine sapienziale, come molte delle leggi dell’Antico Testamento che richiedono la pena capitale senza essere praticate.

Il quesito posto dai farisei è un tranello perché qualunque risposta risulterebbe sbagliata: se Gesù avesse ribattuto di lapidarla gli avrebbero detto che non si lapida per misericordia – rinfacciandogli il suo apparire non misericordioso – se avesse invece detto di non lapidarla, avrebbe trasgredito alla legge di Mosè. Esclusa ogni via d’uscita.

Ma Gesù imbocca una strada inattesa cambiando il piano del discorso ed è proprio in questo momento in cui comincia a scrivere per terra. Un’ipotesi suggestiva è che avesse cominciato a scrivere i peccati degli accusatori, coerentemente al fatto che Cristo viene eletto dai farisei giudice sulla questione e, in quanto tale, comincia a giudicare anche gli accusatori, perché il giudice giusto emette giusta sentenza. Infatti, quando si condannava a morte qualcuno bisognava scrivere la sentenza, come avverrà anche per Gesù,  con il titulus  – conservato a Roma nella basilica della Santa Croce in Gerusalemme – indicante «Gesù Nazareno Re dei Giudei».

«Chi di voi è senza peccato getti per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7), è la nota risposta. Per la legge rabbinica la persona che doveva tirare la prima pietra era il testimone oculare del reato, perché doveva prendersi la responsabilità della sua accusa.

Ora, chi può dire veramente di aver visto e compreso per giudicare il peccato altrui? Chi ha un cuore puro, chi non ha un disturbo di visione, causato dal proprio peccato. Solo nell’amore abbiamo diritto di dire qualche cosa a un altro, fuori da menzogna e solo in verità.  Infatti se ne andarono via uno per uno cominciando dai più anziani, più peccatori dei giovani i quali vanno via per ultimi.

La donna, finalmente sola con Gesù, nell’intimità con Lui può «non peccare più». Il peccato è distanza da Dio, intimità con cose o persone sbagliate. Quando si torna all’intimità con Dio, ritroviamo la condizione di figli e la pace del cuore. Gesù le dice: «Neanche io ti condanno» (Gv 8,11) ossia, “neppure io che, essendo senza peccato, potrei. Dunque è stata assolta.

Da notare che lei è l’unica a tornare a casa perdonata, mentre gli altri ci sono tornati da peccatori. Gesù ribalta tutto, fa sempre “nuove tutte le cose”. Questa donna, paradossalmente, è l’unica che torna a casa pulita e liberata dal suo peccato; gli altri devono ancora fare i conti con la propria povertà.

Come per domenica scorsa, anche in questo episodio possiamo constatare che la nostra povertà sia la moneta che ci permette di acquistare la redenzione. La potenza di Dio non è rivolta alla punizione, ma alla rinascita. Ciò che conta è vivere, riprendere a vivere, ricostruire invece di recriminare. Tanta gente resta tutta la vita a sottolineare i problemi ed è disinteressata alle soluzioni. L’importante è ripartire, voltare pagina, rientrare nell’intimità con Dio.


Per gentile concessione di mons. Paglia. FONTE