Spesso nei Vangeli si narra di Gesù che si ritira in luoghi solitari per pregare. Talvolta è lui stesso a comunicarlo ai discepoli, come quella sera drammatica nell’orto degli ulivi: “Io vado là a pregare, voi sedetevi qui”, disse ai tre più amici. Non c’è dubbio che gli apostoli rimanevano toccati dal suo modo di pregare. Un giorno, riferisce Luca, al termine della preghiera uno dei discepoli si avvicinò e gli chiese: “Signore insegnaci a pregare, come anche Giovanni insegna ai suoi discepoli”.
Forse, si potrebbe specificare la domanda in questo modo: “Signore insegnaci a pregare come preghi tu”. Infatti, ogni profeta (compreso Giovanni) insegnava ai propri seguaci un metodo di preghiera. I discepoli di Gesù, colpiti dal modo di pregare del loro Maestro, dal suo ritirarsi in un luogo solitario e soprattutto da come si rivolgeva a Dio, insistettero perché insegnasse loro a pregare allo stesso modo. C’era un senso di confidenza e di fiducia nella preghiera del loro Maestro che li stupiva. Non avevano visto mai nessuno pregare in quel modo, con tale confidenza e tale fiducia.
Oggi, assieme ai discepoli, anche noi diciamo: “Signore, insegnaci a pregare!”. Non è la richiesta di un generico insegnamento sulla preghiera. È la stessa domanda dei discepoli di allora, ossia partecipare al suo modo di parlare con Dio, di stare alla sua presenza, di colloquiare con lui in modo così confidente tanto da chiamarlo “padre”. Gesù risponde subito anche a noi: “quando pregate, dite Padre, Abbà, papà”. Sappiamo lo sconcerto che tale parola provocava in un ambiente ove neppure si osava chiamare Dio con il suo nome. Gesù spinge a chiamare “papà” il Signore che ha creato il cielo e la terra. Ogni distanza viene così abbattuta; Dio non è più lontano, è padre di tutti e ognuno può rivolgersi direttamente a lui senza bisogno di mediatori. Era una vera e propria rivoluzione della religiosità.
Nella parola “padre, papà”, Gesù ci svela il mistero stesso del Dio di Gesù, del nostro Dio: da una parte la fiducia e la confidenza del figlio verso il Padre; e dall’altra la tenerezza protettrice del Padre verso ognuno di noi. Ritorna, in certo modo, l’amicizia delle origini quando Dio passeggiava nel giardino con Adamo ed Eva. Nella preghiera, in effetti, conta la confidenza e l’immediatezza del rapporto con Dio. Il problema non è né il luogo, né le parole, ma il cuore, l’interiorità, l’amicizia con Dio. Fu così anche per Abramo, nostro padre nella fede. Esemplare e suggestivo è il dialogo che egli instaura con Dio quando intercede per salvare Sodoma, caduta nella dissoluzione e nel disordine. Dio dice come parlando tra sé e sé: “Devo io tenere nascosto ad Abramo quello che sto per fare?”.
In altri termini: “non posso nascondere ad un amico le mie intenzioni”. L’amicizia di Dio è trasparente, sincera. Si avvicina per primo ad Abramo e gli confida: “Il grido contro Sodoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave”. Ma Abramo si mise davanti a Dio, “gli si avvicinò” dice la Scrittura. C’è bisogno di avvicinarci a Dio e presentargli i drammi, i problemi, le speranze di tanti. E Abramo iniziò la lunga intercessione: “Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse ci sono 50 giusti nella città”. Il Signore risponde: “Se troverò 50 giusti, la risparmierò”. E Abramo: “Ma forse ce ne sono 45; per 5 che ne mancano la distruggeresti?” Dio risponde: “Se sono 45, la risparmierò”. E Abramo: “Se a 45 ne mancano 5?…”. E così sino a dieci.
Di fronte a questa drammatica preghiera vengono in mente le tante città e i tanti paesi sconvolti dalla guerra e dall’ingiustizia, dalla fame e dalla violenza: tutti hanno bisogno di un Abramo che interceda per loro. C’è bisogno di tanti amici di Dio, che con insistenza preghino perché le nostre città si salvino, perché il Vangelo tocchi il cuore degli uomini. Le voci di tali amici giungono sino all’orecchio di Dio, ch’è amico degli uomini. Egli non sembra fare altro che essere attento alla voce degli amici. Gesù lo sottolinea con due esempi limite, tratti dalla vita quotidiana.
L’amico che arriva a mezzanotte, e il padre che non darà mai una serpe al figlio che gli chiede un pesce. E conclude: “Se dunque voi, che siete cattivi sapete dare cose buone ai figli, quanto più il Padre Vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono?”. È un modo per dire la disponibilità senza limiti di Dio nel venire incontro alla nostra preghiera. Non sono determinanti le parole; conta il cuore, la fiducia e quindi l’insistenza e la perseveranza nella preghiera. L’inefficacia della preghiera non dipende da Dio, ma dalla nostra poca fiducia in Lui. Chiediamo e ci sarà dato, cerchiamo e troveremo, bussiamo al cuore di Dio, come fece Abramo, e il Signore volgerà il suo sguardo su di noi.
Per gentile concessione di mons. Paglia. FONTE
Qui tutti i commenti al Vangelo delle domeniche precedenti di mons. Vincenzo Paglia