mons. Vincenzo Paglia – Commento al Vangelo del 23 Maggio 2021

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“Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo” (At 2,1). Erano passati cinquanta giorni dalla Pasqua e centoventi seguaci di Gesù (i Dodici con il gruppo dei discepoli assieme a Maria e alle altre donne) stavano radunati, come ormai abitualmente facevano, nel cenacolo. Dalla Pasqua in poi, infatti, non avevano smesso di ritrovarsi assieme per pregare, ascoltare le Scritture e vivere in fraternità. Questa tradizione apostolica non si è mai più interrotta, da allora ad oggi.

Non solo a Gerusalemme ma in tante altre città del mondo i cristiani continuano a radunarsi “tutti assieme nello stesso luogo” per ascoltare la Parola di Dio, per nutrirsi del pane della vita e per continuare a vivere assieme nella memoria del Signore.

Quel giorno di Pentecoste fu decisivo per i discepoli a motivo degli eventi che accaddero sia dentro il cenacolo che fuori. Narrano gli Atti degli Apostoli che, nel pomeriggio, “venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatteva gagliardo” sulla casa dove si trovavano i discepoli. Fu una sorta di terremoto che si udì in tutta Gerusalemme, tanto da richiamare molta gente davanti a quella porta per vedere cosa stesse accadendo. Apparve subito chiaro che non si trattava di un normale terremoto. C’era stata una grande scossa, ma non era crollato nulla. Da fuori non si vedevano i “crolli” che stavano avvenendo dentro. All’interno del cenacolo, infatti, i discepoli sperimentarono un vero e proprio terremoto che, pur essendo fondamentalmente interiore, coinvolse visibilmente tutti loro e lo stesso ambiente.

Videro delle “lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono sul capo di ciascuno di loro; ed essi furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue”. Fu per tutti gli apostoli, i discepoli, le donne un’esperienza che cambiò profondamente la loro vita. Forse ricordarono quello che Gesù aveva detto loro nel giorno dell’Ascensione: “Voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto” (Lc 24,49) e le altre parole: “È bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito” (Gv 16,7). Quella comunità aveva bisogno della Pentecoste, ossia di un evento che sconvolgesse profondamente il cuore di ciascuno, appunto come un terremoto. In effetti, una forte energia li avvolse e una specie di fuoco iniziò a divorarli nel profondo. La paura cedette il passo al coraggio, l’indifferenza lasciò il campo alla compassione, la chiusura fu sciolta dal calore, l’egoismo fu soppiantato dall’amore. Era la prima Pentecoste. La Chiesa iniziava il suo cammino nella storia degli uomini.

Il terremoto interiore che aveva cambiato il cuore e la vita dei discepoli non poteva non avere riflessi anche al di fuori del cenacolo. Quella porta tenuta sbarrata per cinquanta giorni “per paura dei giudei” finalmente venne spalancata e i discepoli, non più ripiegati su loro stessi, non più concentrati sulla loro vita, iniziarono a parlare alla numerosa folla sopraggiunta. La lunga e dettagliata elencazione di popoli fatta dall’autore degli Atti sta a significare la presenza del mondo intero davanti a quella porta. Ebbene, mentre i discepoli di Gesù parlano, tutti costoro li intendono nella propria lingua: “Li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio”, dicono stupiti. Si potrebbe dire che questo è il secondo miracolo della Pentecoste. Da quel giorno lo Spirito del Signore ha iniziato a superare limiti che sembravano invalicabili. Sono quei limiti che legano pesantemente ogni uomo e ogni donna al luogo, alla famiglia, al piccolo contesto in cui si è nati e vissuti.

E soprattutto terminava il dominio incontrastato di Babele sulla vita degli uomini. Il racconto della Torre di Babele ci mostra gli uomini protesi a costruire un’unica città che con la sua torre dovrebbe giungere sino al cielo; è l’opera delle loro mani, è il vanto di ogni costruttore. Ma l’orgoglio, proprio mentre li univa, subito li travolse; non si compresero più l’uno con l’altro e si dispersero su tutta la terra (Gen 11,1-9). La dispersione iniziata dalla Torre di Babele è un racconto antico, ma in esso si descrive la vita ordinaria dei popoli sulla terra, spesso divisi tra loro e in lotta, tesi a sottolineare quel che divide piuttosto che quello che unisce. Ciascuno è rivolto solo ai propri interessi, senza badare al bene comune.

La Pentecoste pone termine a questa Babele di uomini in lotta tra loro. Lo Spirito effuso nel cuore dei discepoli dà inizio ad un tempo nuovo, quello della comunione e della fraternità. È un tempo che non nasce dagli uomini, sebbene li coinvolga. Non sgorga neppure dai loro sforzi, pur se li richiede. È un tempo che viene dall’alto, da Dio. Dal cielo narrano gli Atti scese una pioggia come di lingue di fuoco che si posarono sul capo di ciascuno dei presenti: era la fiamma dell’amore che brucia ogni asperità e lontananza; era la lingua del Vangelo che varcava i confini stabiliti dagli uomini e toccava i loro cuori perché si commuovessero. Il miracolo della comunione inizia proprio a Pentecoste, dentro il cenacolo e davanti alla sua porta. È qui tra il cenacolo e la piazza del mondo che inizia la Chiesa: i discepoli, pieni di Spirito Santo, vincono la paura e cominciano a predicare. Gesù aveva detto loro: “Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità” (Gv 16,13). Lo Spirito è venuto e da quel giorno continua a guidare i discepoli per le vie del mondo. La solitudine e la guerra, la confusione e l’incomprensione, l’orfananza e la lotta fratricida, non sono più ineluttabili nella vita degli uomini, perché lo Spirito è venuto a “rinnovare la faccia della terra” (Sal 103,30).

L’apostolo Paolo, nell’epistola ai Galati, esorta i credenti a camminare secondo lo Spirito per non essere portati a compiere le opere della carne: “sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere” (Gal 5,19-21). E aggiunge: “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22). Di questi frutti ha bisogno il mondo intero. La Pentecoste è l’inizio della Chiesa, ma anche l’inizio di un nuovo mondo. L’azione di papa Francesco ha come riacceso una nuova primavera e una nuova Pentecoste traversa l’intera Chiesa. Lo Spirito Santo, come quel giorno di Pentecoste, scende ancora una volta per spingerci ad uscire dalle nostre grettezze, dalle nostre chiusure, dai nostri particolarismi. È urgente comunicare al mondo l’amore del Signore. Riceviamo in dono la “lingua” e il “fuoco”: mentre comunichiamo il Vangelo il fuoco dell’amore scalda noi e coloro a cui lo comunichiamo.

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Per gentile concessione di mons. Paglia. Commento tratto dal suo sito.