La Liturgia ci immerge nuovamente nel Natale, nel mistero di quel Bambino “avvolto in fasce che giace in una mangiatoia”. In questi giorni possiamo fare nostre le parole del Prologo di Giovanni quando esclama: “noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità”. Sì, abbiamo visto anche noi la gloria di quel bambino. Certo, ci siamo dovuti mettere in viaggio. Come fecero quei pastori anche noi abbiamo dovuto ascoltare le parole dell’angelo e lasciare le nostre greggi, le nostre pigrizie, le nostre abitudini, quell’egocentrismo che abbiamo incollato addosso. Fecero così anche Maria e Giuseppe che dalla Galilea dovettero andare a Betlemme. Anche i magi si lasciarono guidare dalla stella per raggiungere quel Bambino e adorarlo.
C’è però un cammino che ci precede, un viaggio che viene prima, quello stesso di Dio. Sì, il Signore, ben prima di noi, si è messo in cammino, ha affrontato un viaggio per venire tra gli uomini, per arrivare all’estrema periferia della terra. La Parola di Dio che abbiamo ascoltato apre uno spiraglio su questo viaggio del Signore che scende verso di noi. È un viaggio appassionato, pieno d’amore, tutto in discesa verso il più basso degli uomini, verso la periferia più estrema.
Non ha trattenuto nulla per sé. L’unica sua ambizione è starci accanto per salvarci. Il libro del Siracide ci parla della Sapienza che “esce dalla bocca dell’Altissimo” e che sostiene ogni cosa. Così pure l’evangelista Giovanni nel Prologo afferma che: “in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio… e venne tra i suoi… ad abitare in mezzo a noi”. Il Siracide ci ricorda l’ordine di Dio alla sapienza: “Fissa la tenda in Giacobbe – gli disse il Signore – e prendi eredità in Israele… E così – ricorda la Sapienza – mi sono stabilita in Sion. Nella città che egli ama mi ha fatto abitare”. La piccola città di Sion e la modesta nazione di Giacobbe sono diventate la dimora di Dio sulla terra.
Anche noi, gente piccola e modesta, debole e peccatrice, siamo tuttavia stati scelti da Dio perché la sua Parola venisse ad abitare in mezzo a noi perché noi divenissimo suo popolo, santuario della sua Parola. Noi siamo il luogo desiderato da Dio, il termine del suo viaggio, come scrive ancora il Siracide: “Nella città amata mi hai fatto abitare; in Gerusalemme è il mio potere. Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso, nella porzione del Signore, sua eredità”. Sì, siamo divenuti popolo di Dio, scelti per grazia, chiamati “città amata” da Dio e suo “popolo glorioso” per comunicare a tutti gli uomini la sua Parola sino alle periferie più estreme. È un compito alto che ci strappa dai nostri piccoli recinti per inserirci in quel cammino che Dio stesso ha iniziato per primo. È una vocazione alta che in questo Natale ci viene nuovamente donata.
Con l’apostolo Paolo benediciamo il Padre che sta nei cieli perché “ci ha scelti in Lui (Cristo) prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità”. È una scelta che il Signore ha fatto e che va al di là di ogni nostro merito. Egli vuole che siamo “santi e immacolati”, ossia “figli”, appunto, come Gesù. E a Natale viviamo questa rinascita. È nel cuore di ciascuno di noi che quel bambino deve rinascere. Un antico sapiente cristiano diceva: “Nascesse Cristo mille volte a Betlemme, ma non nel tuo cuore, saresti perso per sempre”. E la rinascita avviene ogni volta che accogliamo la Parola di Dio nei nostri cuori.
Sì, ogni volta che l’ascoltiamo con umiltà e con disponibilità è Natale. La Parola fa rinascere, come scrive l’evangelista Giovanni: “A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio… i quali non da sangue né da volere di carne, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. La Parola di Dio sta alla radice della nostra figliolanza e della nostra fraternità. Essa genera ad una vita nuova e diviene la forza che ci fa superare le frontiere del male e rende testimoni dell’amore e della pace. Cosa vuol dire “dare il potere di diventare figli di Dio”? Vuol dire che la Parola ci genera figli di Dio e membri di questo popolo santo, un popolo che diviene per il mondo il santuario del Vangelo.
Ma c’è un potere ulteriore: chi è figlio del Vangelo, chi si lascia rigenerare dalla Parola di Dio, diviene a sua volta capace di generare altri alla vita. Gregorio Magno diceva che la Parola cresce in noi mentre la leggiamo. E la crescita non è solo per se stessi, ma anche per generare altri alla fede. Vi è perciò un potere materno affidato a tutti coloro che si lasciano trasformare il cuore dalla Parola. È quel che accadde ai pastori dopo aver visto quel bambino. Essi, nota l’evangelista, riferirono tutto ciò che era stato detto loro e tutti quelli che li udivano si stupivano di quel che annunciavano. Dalla Parola di Dio ascoltata rinasce un popolo di figli che hanno il potere di trasformare il mondo, di cambiare la storia liberandola dal peccato, dalla tristezza e dalla violenza.
A Natale e in questa domenica ci è stata aperta e donata la prima pagina del Vangelo, quella della nascita di Gesù che viene a porre la sua dimora in mezzo a noi. Da questa prima pagina tutti possiamo ripartire; da essa possiamo iniziare a scrivere di nuovo la nostra vita e crescere, giorno dopo giorno, come cresceva quel Bambino. Se sfoglieremo pagina dopo pagina, giorno dopo giorno, il piccolo libro del Vangelo, cercando di metterlo in pratica, crescerà dentro e fuori di noi quell’amore cha salva. Nell’anno che ci sta davanti, il Signore fedelmente ci donerà il Vangelo sia nella Santa Liturgia che nella preghiera quotidiana.
Non abbiamo paura di accoglierlo! Non temiamo quella parola! Non ci ruberà la vita, gli affetti, la gioia. Al contrario, il Vangelo dona a chiunque l’accoglie la profezia nuova di cui il mondo ha bisogno perché crescano ovunque l’amore, la pace e la gioia.
Per gentile concessione di mons. Paglia. – FONTE
Qui tutti i commenti al Vangelo delle domeniche precedenti di mons. Vincenzo Paglia