Questa domenica possiamo chiamarla la «domenica delle beatitudini o della felicità». Gesù, dopo aver passato la notte in preghiera, scende dal monte e si trova di fronte una numerosissima folla: tutti volevano ascoltarlo, toccarlo, sentirlo vicino. L’evangelista nota, con un certo stupore, che anche persone «tormentate dagli spiriti impuri» erano accorse per essere liberate dalla loro malattia.
Tutti aspettavano una vita nuova, migliore e speravano di trovarla attraverso quel giovane profeta venuto da Nazareth: «Da lui usciva una forza che guariva tutti».
Gesù, vedendo quella folla, decise di inaugurare una nuova fase della sua missione con uno dei discorsi più importanti e sconvolgenti, quello delle Beatitudini. Non è un manifesto di una nuova ideologia; tanto meno un’esortazione per pochi eroi. Sono parole dirette a quei poveri, a quella gente che piangeva, a coloro che erano insultati e rifiutati, a chi mendicava un gesto per sé, a chi cercava di toccare con le mani almeno il lembo del mantello di quel profeta.
La beatitudine non nasceva però dalla loro condizione di miseria o di malattia. La beatitudine si realizza perché Dio ha scelto di occuparsi di loro, prima che di altri. È questo il tempo nuovo che Gesù instaura: Dio dà il pane a chi ha fame, trasforma in gioia il pianto degli afflitti e in allegrezza la tristezza dei disperati. Il regno è dei poveri, sin da ora, perché Dio sta con loro. Il Vangelo non si lascia andare a un facile e superficiale moralismo circa i «poveri buoni», quasi che la condizione disagevole renda moralmente migliori degli altri.
No; i poveri sono come tutti noi, buoni e cattivi. La beatitudine nasce dall’avere Dio vicino perché si è poveri. La stessa cosa accade ai malati e ai deboli, ai prigionieri e ai carcerati. Tutti costoro, presi dal dramma della sofferenza, non debbono essere più disperati: Dio li ha scelti come suoi primi amici e su di loro riversa abbondante la sua misericordia.
Il Vangelo, perciò, con un procedimento a contrasto, aggiunge ai quattro «beati voi», altri quattro «guai a voi»: guai a voi ricchi, guai a voi sazi, guai a voi che ora ridete, guai a voi quando tutti vi diranno bene. «Guai», perché in questi momenti è più facile sentirsi autosufficienti e per nulla bisognosi, neppure di Dio.
Il ricco, che è in ognuno di noi, rischia di essere talmente ripiegato su di sé da restarne imprigionato. «Guai a noi», quando lasciamo prevalere il ricco ch’è in noi. Gesù non vuole esaltare la povertà in se stessa e neppure condannare la ricchezza in se stessa. La salvezza, non dipende dal proprio stato, ma nel sentirsi, o meglio nell’essere, figlio di Dio. Se noi ricchi ci avviciniamo a Dio, i poveri saranno beati, perché assieme al Signore avranno vicini anche noi come loro fratelli.
Per gentile concessione di mons. Paglia. – FONTE
Qui tutti i commenti al Vangelo delle domeniche precedenti di mons. Vincenzo Paglia