mons. Vincenzo Paglia – Commento al Vangelo del 12 Dicembre 2021

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“Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi!”. Queste parole che l’apostolo Paolo rivolse ai Filippesi, sono rivolte anche a noi come a dirci che non c’è più motivo di essere nella tristezza, perché il Signore è ormai vicino. La stessa Liturgia si colora di gioia come per commentare visivamente le parole di Paolo: “Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù”.

Sì, questa Liturgia è la nostra preghiera e il nostro ringraziamento al Signore perché ci dona la pace che custodisce i nostri cuori e i nostri pensieri. Dio non è indifferente ai nostri pensieri e alle nostre preoccupazioni; anzi, ci segue, ci ascolta; ma ci ricorda che c’è qualcosa di più grande delle nostre preoccupazioni e delle nostre angosce: la Parola di Dio, fonte della nostra forza e della nostra gioia.

Questa terza domenica di Avvento ci porta sulle rive del Giordano accanto al Battista che predicava la “buona novella”. Il Vangelo ci prende come per mano e ci accompagna sulla via per raggiungere la gioia. La gioia, infatti, non nasce da noi e dalle nostre opere ma fuori da noi, nasce dall’ascolto della buona novella annunciata dal profeta. La sua predicazione, infatti, non è astratta e lontana, ma fa nascere il desiderio e la domanda su come raggiungere la gioia, su come vivere la salvezza. Le folle che ascoltavano il Battista chiesero: “Che cosa dobbiamo fare?”. È la stessa domanda che fece la folla di Pentecoste dopo aver ascoltato la predicazione di Pietro. Non fu così per il giovane ricco; e se ne andò triste.

Anche quel fariseo, che stava in piedi nel Tempio, se ne andò senza la felicità del perdono. Chi non riconosce il proprio limite, chi è sazio di se stesso, chi non rinuncia alle proprie abitudini, chi non taglia con il proprio orgoglio, chi pensa di aver fatto il possibile, chi non ascolta, non chiede di andare oltre e chiude così la porta al Signore che viene. Costui non ha bisogno né di Gesù né della sua parola. Le folle, invece, che si recavano da Giovanni chiedevano: “Che cosa dobbiamo fare?”.

Questa domanda è di ogni discepolo; ed è particolarmente la domanda di questo tempo di attesa, di questo tempo di Avvento. Essa, infatti, risveglia il cuore dalla pigrizia e rimette in movimento l’ascolto. Senza questa domanda la predicazione resta di fatto inascoltata e in certo modo viene come bloccata. È il dramma di un mondo, di un uomo, che non chiede più cosa cambiare, restando così prigioniero dei propri ragionamenti e dei propri sentimenti. Ma questa chiusura diviene incredulità, come scrive l’evangelista Giovanni: “Venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto”. Non è accolto perché non trova posto, come quella notte a Betlemme.

L’Avvento ci riporta attorno al Battista, assieme a quella folla che, come scrive Luca, “era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro”. In questo tempo anche noi dobbiamo interrogarci, “domandarci in cuor nostro” cosa cambiare nella nostra vita, cosa fare per essere discepoli fedeli del Signore, come camminare per obbedire alla sua parola.

La risposta c’è, Giovanni continua a predicare e a indicarci la strada. Le sue parole ci giungono chiare, e riguardano ciascuno di noi, qualunque sia la nostra età o la nostra condizione, i nostri meriti o i nostri peccati. Nessuno è escluso dalle parole di Giovanni e nessuno è dispensato dal chiedere cosa fare. La risposta del Battista è fatta di parole semplici e concrete, perché nessuno le disperda nei meandri dei propri pensieri.

Ai pubblicani rispondeva: “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”, ossia non seguite la voracità degli istinti, e non lasciatevi soggiogare dalla ricerca dei vostri bisogni, veri o falsi che siano. È facile, infatti, che la quotidianità della vita renda tutti noi dimentichi delle parole evangeliche portandoci così a vivere in modo vorace e insaziabile. Giovanni chiede di diventare seri, onesti e leali. Ed esorta i soldati a rinunciare alla violenza, a non fare del male agli altri. E con semplicità aggiunge: “Non maltrattate e contentatevi”. È un richiamo a un comportamento dolce e umano nei confronti degli altri, chiunque sia e qualunque sia il proprio ruolo. Un richiamo opportuno in una società, come la nostra, dove è facile trattar male, soprattutto chi non si conosce e chi non si teme. E poi chiede di contentarsi. È un richiamo al limite, alla saggezza di non correre dietro le proprie soddisfazioni consumandole una dopo l’altra, facendolo anche a costo di calpestare gli altri.

C’è poi la gente che ascolta Giovanni. È gente che non sta male, che ha due tuniche e ha da mangiare. È la gente del nostro mondo e delle nostre città. La risposta di Giovanni è da meditare: “Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto”. È anche questa una risposta semplice, chiara. È necessario interrogarci su come dar da mangiare a chi non ne ha, e come vestire chi non ha di che vestirsi. La mensa quotidiana, durante l’anno, e i pranzi che le nostre comunità organizzeranno nel giorno di Natale sono una risposta concreta a questa richiesta evangelica.

Ma nello stesso tempo sono anche un interrogativo a questo nostro mondo tanto spesso avaro e cattivo. Come restare tranquilli quando tanti nel mondo non vestono e non mangiano? Questa è certamente una grande questione del nostro tempo. Un tempo nel quale continuano a morire di fame milioni di persone, tra la grande e crudele indifferenza della maggioranza. Tale indifferenza chiede a noi di allargare ancor più il cuore alla carità, di fare ancor più spazio ai poveri e ai deboli. Se nel mondo si continuano a lasciar fuori i deboli e i poveri, a noi è chiesta una maggiore generosità, è chiesto di allargare il cuore sino agli estremi confini perché “nessuno dei piccoli vada perduto”.

La predicazione di Giovanni invita a guardare oltre se stessi, come lui stesso faceva. La sua umiltà e la poca considerazione che aveva di sé lo rendevano pronto nell’attesa e profondo nello sguardo. Per questo a tutti diceva: “Viene uno che è più forte di me, al quale non sono degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezza in Spirito Santo e fuoco”. In questo annuncio si nasconde il motivo della nostra gioia, una gioia forte, come canta il profeta Sofonia: “Esulta e rallegrati con tutto il cuore… perché il Signore tuo Dio in mezzo a te, è un salvatore potente”. Egli infatti viene ad abitare in mezzo a noi e a guidare i nostri passi perché anche noi, come il Battista, continuiamo ad annunziare a tutti la “buona novella” del suo regno.


Per gentile concessione di mons. Paglia. – FONTE