mons. Giuseppe Mani – Commento al Vangelo di domenica 8 Maggio 2022

566

I frutti della resurrezione

Il vangelo di oggi ci introduce, attraverso l’evangelista Giovanni, nella vita interiore di Gesù e del suo rapporto con noi. Per esprimere la nuova situazione Gesù si serve dell’immagine del Buon Pastore e del rapporto con le sue pecore. Non è facile, per chi non conosce la cultura pastorale, percepire la finezza e la delicatezza dell’immagine usata da Gesù.

Continua dopo il video

Potrebbe essere ritenuta un’offesa essere paragonati a delle pecore. E’ più facile sentire che una persona è paragonata ad un leone per il coraggio o ad un serpente per l’astuzia e la capacità di penetrare attraverso le situazioni più intricate. Gesù, che conosceva bene la vita pastorale, scende nei particolari del rapporto pastore e pecore per spiegare il rapporto che dopo la resurrezione si è creato tra noi e Lui.

Tra il pastore e le pecore c’è un vero dialogo: ascoltano e rispondono facendo quello che il pastore vuole. A differenza dagli altri animali, penso al cane che ha un dialogo personale col padrone, la pecora non è mai da sola, ma è sempre parte del gregge. Col padrone e insieme. L’uno non può fare a meno delle altre. Ricordo un anziano pastore che viveva in due stanze a piano terra e mi raccontava di aver avuto un gregge di oltre cento pecore che conosceva una per una. Dal modo con cui mi parlava gli chiesi come facesse ora a vivere senza le sue pecore. Faticosamente, ma decisamente, si alzò, aprì la porta che immetteva in una piccola corte dove cinque pecore gli corsero incontro e, accarezzandole, le “chiamava ciascuna per nome”…

Presentandosi come Pastore, Gesù ci dice tutto il suo amore e la sua attenzione e anche il desiderio di tenere un dialogo aperto con noi. Gesù ci conosce per nome ed ha un dialogo personalizzato con ciascuno. Siamo come uno dei personaggi del vangelo di Giovanni (la samaritana, Nicodemo) a cui Gesù dedica tempo e attenzione.

Essere pecora, che conosce la voce del padrone, deve essere l’ambizione di tutti cristiani. Riconoscere la voce di Dio tra le voci dei mercenari è il frutto fondamentale di ogni discernimento: non lasciarsi imbrogliare. Essere una pecora furba, che sa di chi si fida.

Il Pastore dà la vita per lei, per questo veglia di notte sul suo gregge, insieme ai cani, per difendere le pecore dai lupi e perché “non vadano perdute”. Procura loro “la vita eterna” con i suoi sacramenti, col suo stesso Corpo e il suo Sangue.

Le pecore sono del Padre e nessuno “può rapirle dalla mano del Padre, perché è più grande di tutti.” Il Padre le ha affidate al Figlio, perché le pascoli “tra erbe fresche e le conduca ad acque tranquille”, come canta il salmista.

In queste poche righe del vangelo di Giovanni è descritta la situazione del seguace del Risorto, dell’uomo risorto con Cristo. E’ sicuramente l’ideale di vita che ciascuno può vivere a seconda della sua fedeltà a Cristo . E’ la condizione del gregge di Cristo se vive secondo il suo volere.

La liturgia ci richiama ad un sano realismo mettendoci dinanzi nella prima lettura le comunità cristiane che sono tutt’altro che idilliache. Le difficoltà incontrate da Paolo e Barnaba furono notevoli fino ad “essere scacciati dal loro territorio”. Loro risposero alla maniera evangelica “scossero la polvere dai loro piedi e se ne andarono”.

Ma la situazione ideale si realizzerà alla fine, come descrive Giovanni nell’Apocalisse: “Una moltitudine immensa. Tutti stavano davanti al trono di Dio e all’Agnello, avvolti in vesti candide e portavano palme nelle mani”.

Questa è la reale antropologia cristiana: siamo chiamati a seguire il Pastore, con la certezza che non ci mancherà niente, neppure le tribolazioni, ma con la certezza nel cuore che arriveremo nel Regno dove il gregge di Cristo avrà la sua piena realizzazione.

Fonte