mons. Giuseppe Mani – Commento al Vangelo di domenica 5 Novembre 2023

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La Parola e i fatti

La pagina del Vangelo di questa domenica i rivela una situazione di disagio tra Gesù, la prima comunità cristiana e i farisei. Questa setta denominata, dei “pii”, era apparsa un secolo e mezzo prima di Cristo. Non mancavano di qualità religiose e si presentavano come ardenti praticanti della legge divina. Gli “scribi” amavano la Parola di Dio, erano gli specialisti della scrittura applicandosi alle pratiche minuziose, soprattutto più per gli altri che per se stessi. Le invettive di Gesù sono da intendere come dei consigli ai discepoli, dei consigli che non hanno perso niente della loro attualità.

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Coerenza necessaria. “Dicono e non fanno” è il rimprovero di Gesù verso coloro che hanno sempre sulla bocca la Parola di Dio e il loro rigorismo finisce per essere un alibi alla loro reale infedeltà. Potremo affermare oggi che il fariseismo è sparito? Sappiamo che gli atti sono più importanti delle parole? Non si può annunciare il vangelo senza testimoniarlo con la vita perché non siamo degli intermediari passivi. Il messaggio deve trasformare il “porta-parola”. Non soltanto vescovi, sacerdoti e catechisti ma anche i genitori come tutti gli educatori devono apprendere questo insegnamento. Non ci si può preoccupare se i figli non vanno a Messa mentre i genitori non la frequentano e neppure vietare ai figli di fumare se i genitori fumano e lo stesso si dice per le trasmissioni porno, se in casa se ne fa uso anche in forma privata.

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Il carico leggero. Gli scribi e farisei caricano la legge di prescrizioni numerose rendendo la legge praticamente inapplicabile. Appesantire e complicare la legge di Cristo la mette fuori portata per chi è già appesantito dagli affari della vita. Purtroppo, l’abuso di autorità esiste nella chiesa, nelle imprese, nelle famiglie e nei rapporti sociali.

“Sulla cattedra di Mosè” chi ci siede? Per il cristiano deve essere chiaro che la cattedra di Mosè si è trasformata in una sola: “La croce”. “Quando sarà elevato da terra trarrò tutti a me”, quella è la cattedra più alta che supera tutte e che per se stessa è annuncio e portatrice di salvezza. Credo di potere dire che la Croce è “madre” “maestra” e “padre”. Tutto dipende da Lei e soltanto chi è sopra è autorevole nel senso cristiano del termine. La croce è purificazione da ogni egoismo, desiderio di supremazia e superbia che potrebbe nascere anche nell’annunciare la verità. Il Maestro è stato esaltato perché “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo ogni ginocchio si piega nei cieli, sulla terra e sotto la terra e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore”. Solo in presenza della Croce si ha la certezza della presenza di Cristo, unico Maestro degno di chiamarsi tale.

L’esercizio dell’autorità nella chiesa è esperienza di amore e solo la croce purifica il cuore da ogni forma di egoismo, ecco perché è naturale chiamare i Santi, Padre e le Sante Madri. Quando il Papa canonizzò madre Teresa di Calcutta nell’omelia disse che l’abbiamo canonizzata ma non la chiameranno santa ma continueremo tutti a chiamarla Madre.

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Nella Chiesa che sta vivendo un periodo sinodale in cui ogni credente è invitato ad assumere le sue responsabilità, senza volere annullare i ruoli che ciascuno ha secondo al propria vocazione e carisma la cosa che vale di più chiamarci tutti fratelli, “il più grande si senta vostro servo”, anche perché ogni sopraelevazione sugli altri risulterà inutile, aggiungerei comica, dal momento che “si innalza sarà abbassato e che si umilia innalzato”

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