I poveri
Gesù oggi ci offre la carta costituzionale del suo Regno. Per farvi parte bisogna essere poveri in spirito. Chi sono i poveri in spirito?
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E’ importante aver chiare le idee su questo argomento, perché spesso è soggetto ad equivoci anche perché la parola “poveri”, incredibile ma vero, è una di quelle che oggi nella Chiesa va di moda e corre il rischio di essere aggiustata secondo i gusti e passare presto come tutte le mode.
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Spesso si collega il concetto di povertà con quello di denaro: è povero chi non ha denaro. È in parte vero, ma l’assoluta mancanza di denaro si chiama miseria e questa non è assolutamente una virtù, anzi la Chiesa la combatte, perché deve essere superata. Ho personalmente conosciuto persone con molto denaro e profondamente povere “in spirito” e persone prive di denaro avide di possedere con tutti i mezzi, anche con lo spaccio di droga. Ho conosciuto due grandi santi: Wojtyla e Madre Teresa di Calcutta, il primo è vissuto in una reggia, la seconda tra i baraccati. Non dimenticherò mai due testamenti. Quello di Papa Giovanni XXIII: “Sono nato povero e voglio morire povero. Lascio il mio servito d’argento a …, la mia mitria del ‘600 a…” e tante altre cose. Ed è stato canonizzato. Pio XII, il Principe Pacelli: “Tutto quello che possiedo lo debbo alla Chiesa, nomino erede universale la Santa Sede”. Mi auguro che facciano santo anche lui.
Viviamo in un momento in cui i poveri sono messi al centro dell’attenzione, almeno nei discorsi della Chiesa, da quando il Card. Giacomo Lercaro chiese in Concilio di definire la Chiesa: “Chiesa dei poveri”. Ed è giusto: per essere nella Chiesa si deve essere poveri di spirito. Potremmo dire che è il primo articolo della sua carta costituzionale.
Chi sono “i poveri di spirito”? Coloro che sanno e vivono in assoluta dipendenza da Dio, Padre e datore di ogni bene. Puoi possedere molti beni, ma sai che sono di Dio, che te li ha messi a disposizione per il servizio dei fratelli. Ricordi anche che l’uomo è essenzialmente povero, vive di doni, i veri beni, quelli essenziali per la vita che non sono commerciabili. Non è commerciabile la salute, ma è un dono; non lo è l’amicizia, anzi, i denari sono il rischio più grave per non avere amici, ma clienti; non lo è la fiducia, l’onore, l’amore, … In una parola: le cose che contano non si comprano, ma si ricevono in dono, perché siamo poveri.
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Gli unici modelli dell’autentica povertà sono Gesù, Maria e la loro famiglia. Ovviamente in Gesù ci sono tutti i modelli di vita, anche quando saremo nudi, pieni di aghi e tubicini che ci tengono in vita nel letto di un ospedale; quando saremo soli e abbandonati in una terribile solitudine come Lui nel Getzemani; quando sperimentiamo di essere traditi da chi si credeva amici. Gesù è il modello di ogni povertà, ma da parte nostra dobbiamo imparare dai grandi santi che sono vissuti abbandonati in Dio che li ha resi poveri. In Sant’Agostino, alla cui regola fanno riferimento tutti gli istituti religiosi, non esiste la parola povertà, ma “sobrietà”, che è la misura con cui servirsi dei doni che Dio mette a nostra disposizione. La povertà voluta è pericolosa, perché spesso può suscitare sentimenti contrari alla dolcezza e alla carità. È Dio stesso che ci rende poveri per entrare progressivamente nel suo Regno. Papa Ratzinger, cito a mente, disse che la Chiesa non si è mai spogliata volontariamente dei suoi beni, ma è stata sempre spogliata dagli altri. Credo sia vero anche per le singole persone.
A Gesù non è mancato niente per vivere. Non era nella miseria, ma non possedeva niente, soprattutto la sua volontà, che era quella del Padre. Non gli è però mancata la parola, lo Spirito e la sua originale famiglia con Maria, puro dono del Padre e Giuseppe, suo custode, che ha sempre agito secondo la volontà di un Altro.
Maria è il modello, la cristiana perfetta, quindi la perfetta povera, che ha espresso la sua povertà col canto del “Magnificat”, in cui non teme di dire “tutte le generazioni mi chiameranno beata”, esattamente la beatitudine dei poveri.
Se la povertà fa paura, perché sembra amica della miseria, è invece bellissima quando la vediamo incarnata nei santi, quando la Parola prende carne. Chi non vorrebbe essere Francesco di Assisi, chi non vorrebbe essere Teresa di Calcutta? Essenzialmente lo siamo tutti. Lo siamo anche come Chiesa che vorremmo diversa, più bella, più santa ai nostri occhi e ci dimentichiamo che invece l’esperienza di Chiesa è una “grande esperienza di povertà”. Dio non si serve di uomini grandi e potenti, neppure intelligenti e santi, ma di povere persone, per occupare posti di grande responsabilità, per dimostrare che la Chiesa la manda avanti Lui e perché “nessuna carne si glorifichi dinanzi a Lui” . Che nessuno abbia la tentazione di dire di aver fatto grandi cose, talmente evidente è la sua insufficienza e la sua miseria.