mons. Giuseppe Mani – Commento al Vangelo di domenica 24 Aprile 2022

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Gesù costruisce la sua Chiesa

Tutta la liturgia di oggi orienta la nostra attenzione alla Chiesa. Ne parla la prima lettura raccontando che “andava aumentando il numero di quelli che credevano nel Signore”. L’Apocalisse ci presenta Giovanni che riceve l’incarico di scrivere alle chiese; il vangelo ci racconta della prima apparizione agli apostoli riuniti. Quello che avviene è tutto paradigmatico per noi, avviene per nostra istruzione. Nel vangelo non avviene niente a caso.

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“A porte chiuse”: la prima volta che ci viene presentata la Chiesa dopo la resurrezione è in un luogo a porte chiuse. Sembra un controsenso, invece ha un significato: perché venga il Signore è necessario chiudere le porte. La sua presenza non ammette altri ospiti, ma soltanto la solitudine e il silenzio, accompagnato anche da una buona dose di timore, sempre importante come dono dello Spirito Santo che accompagna la venuta di Dio.

“Venne Gesù” e per prima cosa li tranquillizzò, portò loro la pace. Non fece un augurio come “Buonasera!”, ma donò loro la pace. Quando arriva Gesù arriva sempre la pace e la serenità.

“Mostrò loro le mani e il costato”, cioè la sua carta d’identità: la croce e le sue conseguenze. A quel punto finirono i dubbi: lo riconobbero. Quando Cristo viene, anche se risorto viene sempre con i segni della sua crocifissione. Come alla fine del mondo, è sempre preceduto dalla Croce.

La Croce è sempre il segno distintivo dell’identità del Signore. Se c’è la Croce, c’è Lui perché gli altri fuggono la Croce, soltanto Lui l’abbraccia.

La Chiesa ha la presenza di Cristo. E’ apparso agli apostoli riuniti, non in una piazza o in un convegno di saggi e di dottori: agli apostoli soli, riuniti a porte chiuse.

“Come il Padre ha mandato me , anch’io mando voi”: è la conferma della missione per cui li ha chiamati. Il Padre li ha dati a Lui per mandarli. La ragione per cui sono con Lui, per cui si è fatto vedere proprio a loro, è per inviarli. Lui ha terminato la sua missione, adesso tocca a loro e per questo:

“Alitò su di loro”, spiegando: “Ricevete lo Spirito Santo” per perdonare i peccati. Ecco la ragione fondamentale per cui li ha chiamati, riuniti e mandati: perdonare i peccati, demolire il peccato, sconfiggere il male. Per ogni sacerdote, chiamato dal Signore, si ripete la stessa cosa: è chiamato, riceve lo Spirito Santo per perdonare i peccati. Anche l’annuncio della salvezza che precede il perdono è tutto in funzione del perdono dei peccati. Don Bosco diceva, giustamente: “Ogni predica deve finire con la confessione”. Aveva capito bene.

In questi pochi versetti del Vangelo di Giovanni è delineata tutta la missione della Chiesa, la sua dinamica, il suo stile di vita e l’essenza della sua missione.

La Chiesa deve avere il tempo di solitudine necessario per stare col suo Signore. La dimensione solitaria, il tempo di deserto, non è un necessario tempo di riposo, anche se in parte lo è, ma il tempo in cui prende coscienza che è la sposa da cui il Signore attende amore e a cui vuol comunicare amore per portarlo al mondo. Una Chiesa che non prega, che non educa alla solitudine, che non sa suscitare la nostalgia del Signore, è una Chiesa che illude e promette quello che non può dare, perché non lo possiede.

Il Signore viene soltanto nella solitudine e nel silenzio, vuole il cuore libero, non tollera altri invitati perché la fede è egemonica: Dio solo. E allora opera i miracoli, perché nessuno usurpa la sua gloria. E’ certo che Dio viene, anzi è già venuto ed è più esatto dire che si manifesta, si rivela, ci accorgiamo di averlo vicino. La sua presenza è sempre impegnativa, perché vuole associarci alla sua passione per salvare il mondo. Non è facile stare vicino ad un Crocifisso che invita quotidianamente a prendere la propria croce e a seguirlo. Ma la certezza della presenza dello Spirito Santo ci garantisce che quello che facciamo porta frutto.

Cosa può fare allora la Chiesa in questo terribile momento in cui fratelli si uccidono tra loro e contare i morti è segno della propria vittoria; in questo tempo assurdo e di cui non si intravvede una via di uscita? Può parlare e condannare la guerra, cosa poco più che inutile: chi è che la desidera? Soltanto dei pazzi. La cosa che la Chiesa può fare è celebrare l’Eucarestia: come diceva Theilard de Chardin, vivere in una continua epiclesi sul mondo, tenere le mani tese verso quei luoghi di sofferenza dove Cristo rinnova il suo sacrificio e dire: “Manda il tuo spirito a santificare i doni che ti offriamo, perché diventino il Corpo e il Sangue di Cristo”. Che il sacrificio di tutti non sia vano, ma insieme a quello di Cristo chieda al Padre il dono della pace.

E vivere nella fede. Nella sua autobiografia Papa Wojtyla racconta che si chiedeva fino a quando il Signore avrebbe tollerato il comunismo che tante sofferenza procurava al suo popolo e conclude dicendo che non si sarebbe aspettato che sarebbe finito così presto. La Chiesa attende ed è certa che finirà e ciò avverrà anche per la nostra collaborazione.

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