mons. Giuseppe Mani – Commento al Vangelo di domenica 23 Luglio 2023

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I buoni e i cattivi

A prima vista la parabola classifica gli uomini in due categorie. Rischiamo di sentirci confermati nel nostro modo manicheo di guardare il mondo. La parabola invece è là per dissuaderci ad agire così. Il giudizio è rinviato alla fine della storia. Rischiare di voler separare i cattivi, erigersi a giustizieri, è un tentativo da ciechi. Non sapremo mai ciò che esattamente dividiamo. Il buon grano e la zizzania se esistono fuori di noi esistono anche in noi e ciò oscura il nostro sguardo.

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La famosa trave che è nel nostro occhio, che ci vieta di togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello. La peggiore perversione consiste nel vedere tutta la giustizia dalla nostra parte, pensare che noi agiamo bene, agiamo come si deve e giudicare gli altri da questa posizione privilegiata che non è altro che il posto di Dio. Chiunque pretende di mettersi a giudicare caccia Dio dal suo posto. San Giacomo dice: “Giudicare il prossimo è giudicare la legge”, la Parola, rifare il processo a Cristo.

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Figli del regno e figli del maligno. Questa espressione della parabola potrebbe far credere ad una duplice origine: alcuni sarebbero figli di Dio e altri figli di Satana. Saremmo così destinati, condannati al male; cosa che andrebbe contro tutta la rivelazione evangelica. Questo vuol dire che tutti i dettagli della parabola non devono essere presi alla lettera: ogni parabola è un cammino per raggiungere un punto, la verità che vuol mettere in evidenza. All’occorrenza bisogna ricordare che nessuno nasce figlio del Regno: si sceglie di entrare in questa filiazione. Così come non si nasce figli del maligno, si diviene tali se si vuole. Gli uni e gli altri sono all’origine figli di Dio. Si diviene figli del maligno facendosi accusatori. Pretendendo di riconoscere la zizzania. L’accusatore e il nemico sono in effetti la stessa persona. Il figlio del Regno è colui che assomiglia a Dio, imitandone la pazienza: “Lasciateli crescere insieme!”.

Il lavoro e il tempo. Le tre parabole che leggiamo oggi vogliono difenderci contro le impazienze. Ci parlano tutte di crescita e la crescita presuppone il tempo. Tempo perché la zizzania e il grano diventino maturi per la messe, tempo perché la pasta fermenti e lieviti, tempo perché il grano di senape diventi un albero. Questa pazienza non deve essere esercitata soltanto nei confronti degli altri; noi stessi dobbiamo aver pazienza restando aperti ad un avvenire che non immaginiamo, fino a questo avvenire assoluto in cui i giusti brilleranno come il sole. La senape non sa che diventerà un albero. Neanche l’albero sa che è già nel granello di senape. Credersi fermi nello stato attuale, rifiutare di vedere una strada aperta, rinunciare a “passare”, ecco cosa va contro la creazione che continua. Le parabole cono parabole di speranza. Esse parlano del Regno: questa speranza non vale soltanto per ciascuno di noi. Il Regno riguarda il mondo. Alcuni cristiani non hanno in bocca che catastrofi, sono accecati dalla presenza della zizzania nel campo e per lo spettacolo della morte del grano. Dio, l’amore, son dimenticati.

Gesù parla della fine del mondo. Anche noi parliamo di una catastrofe nucleare. Il vangelo ne parla come tempo della mietitura. La mietitura è tempo felice, tempo di gioia, l’ora del trionfo di Dio e dell’uomo. Il mondo che finisce, il mondo che passa è il mondo della zizzania, della violenza fratricida. Il mondo dell’amore non passa, è già cominciato; è là quando l’amore si manifesta nel nostro mondo. E chi sa se la zizzania divenisse finalmente grano? Tutto ciò che viene alla luce diviene luce (Ef 5,13).

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