mons. Giuseppe Mani – Commento al Vangelo di domenica 23 Gennaio 2022

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Il discorso inaugurale

“Le parti meno decenti”. In generale si passa veloci su questo versetto che fa parte della seconda lettura di questa domenica, che infatti è stato tralasciato: certamente per pudore, perché alcuni vedono nelle parole di Paolo una allusione alle parti genitali (e senza dubbio intendeva queste), altri perché non vedono come nel corpo ci debbano essere parti più decenti o meno decenti.

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Certamente questo fatto di decenza è un fatto di cultura. Ma il silenzio su questa frase nasconde qualcosa di importante. In effetti di che cosa si tratta? Assimilare il corpo alla Chiesa e alle nostre comunità. Le parti meno decenti, come le parti più delicate (come l’occhio per esempio) designano gli uomini; i Giudei, i pagani, gli schiavi e gli uomini liberi e anche i membri delle comunità nella diversità delle loro funzioni.

Paolo ci spiega che più un uomo è debole, più modesta è la sua funzione, più bisogna trattarlo con rispetto e amore. Cosa c’è di più miserabile di uno svampito in una comunità intelligente e distinta? E il povero, colui che non ha potuto accedere alla cultura, colui che non ha saputo sbrigliarsi nella vita? Sono le persone a cui dobbiamo riservare la nostra attenzione. Gli altri non ne hanno bisogno. Nella comunità credente tutto è condivisione, l’onore e il disonore; non possiamo escludere dal corpo i membri che non ci piacciono: “la testa non può dire ai piedi: non ho bisogno di voi!”. Abbiamo anche bisogno dei poveri e dei peccatori.

Gesù nella sinagoga fa un discorso programmatico improntato su Isaia. Ci dice, in riferimento alla profezia, ciò che è venuto a fare. Ci dice immediatamente che non è questione di personaggi della comunità “meno decenti”: i poveri, i prigionieri, i malati, gli oppressi. In conclusione, ciò che ha detto San Paolo non è un consiglio, ma un formale impegno verso gli altri. Non ha detto di non dimenticare i poveri, ma di considerare i poveri. Gesù ha ricevuto l’unzione dello Spirito per riabilitare gli uomini caduti. Per questo è venuto ed è questo che anche noi dobbiamo fare. Questi uomini meno decenti, che noi vogliamo nascondere, sono infatti l’immagine di ciò che noi siamo; tutti gli uomini sono salvati da Cristo. Nessuno può dire che non ne ha bisogno. Tutti formiamo un solo corpo.

Il corpo nella sua diversità. Dio ci ha creati separandoci, cioè superando il caos, l’indistinto e piazzando ogni cosa al posto giusto, relativo al posto degli altri. Differenza e relazione.

Dio crea la diversità, diversifica, perché Lui stesso è diverso (noi diciamo Padre, Figlio e Spirito Santo). E’ dunque insieme che formiamo l’immagine di Dio. Tutto questo richiama l’immagine del corpo presentata nella seconda lettura. Nessuno da solo è un corpo … Ciascuno ha bisogno dell’altro per fare corpo. Questo bisogno è apertura; rompe la nostra autosufficienza. La diversità è il trampolino e il terreno dell’amore. Il frutto dell’amore è l’unità.

Il peccato è far leva sulla diversità per fare il contrario dell’amore: la divisione, l’esclusione, l’ignoranza di colui che è diverso. Gesù , venendo a chiamare in un unico corpo pubblicani e peccatori e ad integrare nella comunità gli esclusi, supera il nostro peccato. Ma non lo fa dall’esterno con una specie di condiscendenza, ma si fa lui stesso “peccato” ed escluso. E’ di là che, con noi, rifà il percorso in senso inverso e il ritorno all’unità. Allora sarà realizzato “l’unico Dio, e Uno è il suo nome”(Zac 14,9). E noi al nostro posto “unico” nell’unità stessa di Dio.

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