mons. Giuseppe Mani – Commento al Vangelo di domenica 20 Marzo 2022

1127

Urgenza e pazienza

Sono all’ordine del giorno episodi dolorosi che colpiscono la nostra attenzione: terremoti, incidenti, attentati, omicidi in famiglia. Perché? Di chi è la colpa? Cosa ha fatto Dio? Dov’era?

Continua dopo il video

Due fatti tragici avevano colpito Gerusalemme: la rivolta dei Galilei, oggetto di una repressione sanguinosa da parte di Pilato; la caduta della torre di Siloe, che aveva provocato la morte di diciotto persone.

Gesù non tira le conclusioni della gente: “Dio li ha puniti!”. Al contrario afferma che questi poveri uomini non erano più peccatori degli altri e non meritavano quelle disgrazie, per cui la causa va cercata altrove.

Questi lontani avvenimenti di Gerusalemme riguardano anche noi. Come reagiamo? I consumatori di informazione cercano le ragioni dei colpevoli e giustificano le punizione anche se tirano in ballo Dio: “Se Dio esistesse sarebbe dovuto intervenire!”. San Paolo nella seconda lettura di questa domenica ci avverte: “Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere!”. E Gesù invita a mettere in gioco noi stessi, a riflettere sugli eventi e a interpretarli come segnali.

La prima parte del vangelo ci invita ad affrettarci ad entrare in un cammino di conversione. La conversione è un cambiamento di mentalità, un altro modo di pensare, un altro modo di vedere il Signore, vedere gli altri e il mondo in cui viviamo, di vedere noi stessi. E’ un ritorno verso Dio. Implica un cambiamento di comportamenti come conseguenza di un cambiamento interiore.

Il sacramento che ci viene riproposto in questo tempo di quaresima con cui accogliere il dono di Dio è il sacramento della Confessione.

Oggi esiste una reale crisi di questo sacramento. Perché? Credo che manchi una reale evangelizzazione di questo grande dono che Dio ci fa per offrirci sacramentalmente il suo perdono, per farci sentire il suo abbraccio misericordioso. La confessione non ha nulla a che vedere col confessionale del “Grande fratello”, in cui vengono messe in pubblico le cose segrete e neppure con l’incontro con lo psicologo. Tirando fuori le nostre cose più intime si pensa che la persona venga liberata, sperando non venga distrutta, da una psicanalisi profonda. La confessione ha due momenti: il proprio dolore per i peccati commessi, perché offesa fatta a Dio, a noi stessi e ai fratelli e il perdono che arriva da Dio attraverso il ministero del sacerdote, ministro di Dio. Il sacramento della riconciliazione non è un colpo di spugna su una vita o una guarigione istantanea, ma un trattamento da rinnovare contro una malattia cronica. Ricevuto con fede, il sacramento ci conduce verso un vero cambiamento.

La parabola del fico, nella seconda parte del vangelo, insiste sull’urgenza della conversione, ma aggiunge anche la certezza che una nuova occasione è data al peccatore, perché accolga in se stesso la vita. Il vignaiolo – agricoltore della parabola spera contro tutto, anche contro il proprietario, tentato di applicare una misura drastica riguardo al fico sterile.

Il giardiniere ci offre il volto del Dio vivente per il quale “la pazienza è l’altro nome del suo amore”. Da notare che pazienza non significa mancanza di invito. Non cessa di tendere la mano, non scoraggia mai dopo gli errori, le sterilità. Dio non è paziente nel senso che si accontenta di attendere, anzi, fa di tutto per riportarci a Lui. Semina sulla nostra strada segni discreti, ma insistenti. Ci dà fratelli e sorelle per avvertirci e accompagnarci; è prodigo di spinte costanti e perseveranti. Ne siamo coscienti? Ne approfittiamo?

La pazienza di Dio non è indifferenza. Non è indifferente circa i frutti incerti che possiamo produrre come se questo importasse poco. La fiducia che ci mostra dovrebbe toccarci in particolare ogni volta che riceviamo il sacramento della riconciliazione. Potremmo dire: “Signore, io credo in te! E tu credi alla mia conversione?”. “La tua reiterata misericordia è il sostegno della divina speranza”.

Il Signore non ci guarda come siamo, ma come dovremmo e potremmo essere. Non ci abbandona alla nostra mediocrità e alla nostra pesantezza. Non cessa di vederci fruttificare per il Regno. Il perdono di Dio fa rivivere in noi il meglio di noi stessi, perché ci ha creati a sua somiglianza.

In questo tempo di conversione dobbiamo ripetere l’umile preghiera del contadino: “Lasciaci ancora quest’anno … forse porteremo frutto!” oppure: “Signore, sii paziente con me! Concedimi una dilazione!”. Non possiamo dimenticare, però, che ha subìto un duro castigo chi ha rifiutato di rimettere al suo compagno un debito insignificante. La conclusione della parabola è seria: “Taglialo, perché non deve sfruttare il terreno”. Dio non ama le piante ornamentali.

Fonte