La fede alla prova
Il solo nome di Tommaso evoca l’incredulità. Per otto giorni rifiuta di credere alla Resurrezione del Signore malgrado le testimonianze che gli vengono offerte. Ma a torto se restiamo al primo atto, perché in seguito farà un magnifico atto di fede, il più esplicito, senza dubbio, di tutto il Vangelo.
San Giovanni ci fa conoscere l’apostolo Tommaso e ne rivela il carattere generoso accompagnato da uno spirito esigente. Pronto. Deciso. Quando Gesù si mette in cammino per andare a resuscitare Lazzaro, conoscendo la pericolosità della situazione in cui andava a infilarsi, è lui che dice: “Andiamo anche noi a morire con Lui!”. Ma è uno spirito che vuol vedere chiaro. Ugualmente Giovanni lo mette assente alla riunione nel cenacolo con gli altri apostoli, è probabile che appartenesse al gruppo che non credette alla testimonianza delle donne che tornarono dal sepolcro. Le sue pretese sono esorbitanti: non vuol soltanto vedere, ma anche toccare.
Una incredulità troppo reale, manifesta, ostinata. Certamente la nostra fede deve essere razionale, si appoggia su dei motivi per credere, non si fida alla cieca. Ma questi motivi di credere sono sempre delle testimonianze, non la visione personale della verità in se stessa. Esigere di vedere per credere vuol dire mettersi nel numero degli increduli che dicono: “Se non vedo, non credo”. Tommaso è nell’errore, ma un errore passeggero.
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Dopo otto giorni, Gesù appare nel Cenacolo e rivolto a Tommaso lo esorta a mettere il dito nelle sue piaghe e gli dice di smettere di essere incredulo, ma di diventare credente.
Tommaso vede il Suo maestro. Lo riconosce. La sua grazia lo tocca e con uno slancio esclama: “Mio Signore e mio Dio!”.
Nello slancio di Tommaso non c’è da vedere uno slancio di sorpresa, di stupore. Molto di più, è un atto di fede, ne abbiamo la certezza dalle parole stesse di Gesù. Ha creduto e la sua fede è la stessa degli apostoli, come quella di Pietro, il giorno stesso in cui il Signore lo interroga sulla sua identità: “Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente!”. Tu sei il mio Signore, il mio Dio! Già Pietro aveva proclamato Gesù Figlio di Dio. Ma ancora la divinità di Gesù non era stata affermata così chiaramente. Con la parola “Dio” applicata direttamente a Gesù è la prima piena professione di fede.
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Alla Messa noi riprendiamo le parole di Tommaso quando il sacerdote alza l’ostia alla consacrazione. Sono le parole migliori per esprimere la nostra fede: “Mio Signore e mio Dio!”.
Applichiamoci a fare questo atto di fede e di adorazione, non soltanto con le parole, ma con i sentimenti dell’apostolo Tommaso. Ci farà prender parte alla beatitudine promessa da Gesù: “Beati coloro che credono senza aver veduto!”.