Chi ama è già in Dio!
- Gesù contrattacca i suoi nemici. Nel capitolo precedente l’evangelista Matteo ha riportato con ricchezza di dettagli, facendoci rivivere le sensazioni e il clima del momento, i ripetuti attacchi da parte dei farisei, dei capi dei sacerdoti e degli scribi per incastrare Gesù alla ricerca di motivi per accusarlo e quindi condannarlo a morte. Ogni tentativo è andato a vuoto da parte delle forze dell’istituzione religiosa – dei sommi sacerdoti, gli anziani, i farisei, gli erodiani, i sadducei, i dottori della legge – ed ora, siamo nel capitolo 23, è Gesù che comincia a condurre un duro contrattacco. Inizia un discorso molto forte che traspira persino violenza, una violenza che non è tuttavia contro l’istituzione giudaica, perché si rivolge piuttosto alla comunità dei suoi discepoli volendoli ammonire a non ricadere negli errori dei farisei e dei freddi maestri ed esecutori della legge mosaica. Un insegnamento contro la ricerca del potere, del dominio degli altri e dell’ambizione, elementi alla base della teologia degli scribi, una teologia che puntava sul merito, mentre Gesù proclamerà il primato della misericordia e del servizio.
- Non fate nemmeno quello che vi dicono. Gesù dice: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei”. Per meglio comprendere queste sue parole si pensi che nella sinagoga veniva lasciata sempre una seggiola vuota per ricordare la presenza di Mosè, seggiola che sarebbe stata occupata dal futuro profeta preannunciato dallo stesso Mosè. Su questa seggiola però, dice Gesù, si sono invece seduti scribi e farisei ed allora ecco il suo consiglio:” Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno”. Questa frase solitamente citata, sembra un invito a praticare e osservare tutto ciò che scribi e farisei insegnano, ma non è proprio così perché Gesù condanna non solo i loro comportamenti bensì pure la loro dottrina trattandosi, preciserà in altre circostanze, di precetti di uomini e non di Dio. Sembra allora più corretto interpretare che Gesù non invita a fare “quello che vi dicono ma non quello che fanno”, quanto piuttosto “Non fate neanche quello che vi dicono” perché il loro insegnamento è loro invenzione e non ha nulla a che fare con Dio. Quel che Gesù rimproverava ai capi religiosi, alle autorità del popolo eletto era infatti che si preoccupavano soltanto dei loro interessi trascurando il bene della gente. Diventavano spesso insensibili alle sofferenze e insistendo sull’applicazione materiale dei precetti della legge riuscivano ad infliggere sofferenze supplementari alle persone, come ad esempio quando vogliono impedire a Gesù di guarire un malato in giorno di sabato ed altri molti casi. Insomma per questi cultori della legge l’osservanza materiale, formale della legge religiosa era più importante del bene dell’uomo. Mentre Gesù insegnerà che la legge è al servizio dell’uomo e non l’uomo al servizio della legge.
- Chi tra voi è più grande sarà vostro servitore. Aggiunge poi Gesù ai suoi discepoli: Voi non fatevi chiamare ‘rabbì’, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. Forte richiamo all’autorità come servizio e non come potere perché nessuno si ponga al di sopra degli altri. E aggiunge: “Non chiamate padre nessuno di voi sulla terra»”; si riferisce qui al titolo di “padre” che apparteneva a uno dei componenti del sinedrio, mentre egli insegna ai suoi discepoli a riservarlo solo al “Padre vostro, quello celeste”. Il padre è l’autorità e l’unico padre nella comunità è il padre celeste che governa gli uomini non con leggi e precetti da osservare, ma comunicando loro il suo amore affinché imparino i discepoli del Maestro divino a trasmettere amore. E chiude questi suoi insegnamenti ricordando che chi tra voi è più grande sarà vostro servitore. Il termine qui usato per servitore è “diákonos” (διάκονος), che indica non chi si sente obbligato a servire, ma colui che per amore e liberamente, si pone al servizio degli altri. Insomma, come altre volte Gesù ripeterà, colui che occupa veramente il primo posto nella comunità non è colui che comanda, ma colui che serve, non chi carica di pesi le spalle della gente, ma colui che li toglie offrendo ai piccoli e agli affaticati il sostegno dell’amore con il dono totale di sé stessi. E conclude:” Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato”.
- Chi ama è già in Dio. Nel vangelo di oggi possiamo vedere rispecchiate le nostre comunità e, alla luce delle parole di Gesù, chiederci soprattutto noi vescovi, sacerdoti e responsabili a ogni livello se il rimprovero rivolto alle autorità religiose del tempo vale anche per noi. Non fanno quello che dicono! Capita spesso di sentirci rinfacciare l’incoerenza tra la predica e la vita, tra quello che dal pulpito domenicale si afferma e quel che poi praticamente appare nei nostri comportamenti. E’ vero! Oggi viviamo tempi di grande con fusione e noi sacerdoti e persone di chiesa veniamo assai spesso criticate, ed accettare di sentirsi continuamente sotto lo sguardo di chi ci giudica non fa piacere. L’esperienza insegna però che tutto è grazia e saper accogliere i rimproveri quando sono giusti è un atto di umile e docile obbedienza allo Spirito che guida la storia. E quando invece la critica è strumentale o voluta come mezzo per distruggere il buon nome di chi nella Chiesa è al servizio del vangelo che dire, che fare? Gesù è stato seguito e amato da molti negli anni della sua vita pubblica, ma a ben vedere, conti fatti alla mano, la sua missione da un punto di vista umano appare un fallimento perché muore solo e abbandonato quasi da tutti sulla croce. Non è mai sceso a compromessi con i potenti; ha difeso la verità e ha lottato contro l’ingiustizia; ha amato i poveri e insegnato a perdonare tutte le offese; non ha promesso il successo e il potere, ma ha mostrato la croce come passaggio obbligato verso la vita eterna. Questo è il solco che ha tracciato per ciascuno di noi e la sua stessa sorte non può non toccare anche a coloro che ne seguono fedelmente le orme. Quindi non ci si perda d’animo se facendo il bene si è incompresi, ingiustamente condannati e persino calunniati. “Chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato”. In questo mese di novembre tempo di riflessione sulla morte e la vita eterna, non ci sia difficile pensare che il metro di tutto è non fermarsi all’orizzonte terreno, bensì alzare lo sguardo verso l’infinito, l’eternità, e non dimenticare mai che il l’esistenza terrena è solo il primo tempo della lunga partita della vita. Alla fine soltanto l’amore resta sempre vincitore, per sempre e nell’eternità. Perché chi ama è già in Dio!
AUTORE: Mons. Giovanni D’Ercole, Vescovo emerito – Pagina Facebook – Sito Web