L’Avvento e la conversione implicano un medesimo dinamismo spirituale
Oggi, prima domenica d’Avvento, iniziamo un nuovo anno liturgico, un cammino che ogni anno si rinnova facendoci protagonisti senza interruzione della storia della salvezza. La vitacristiana è un continuo salire verso il Cielo come su una scala a chiocciola, un gradino dopo l’altro, guidati dalla saggezza della Chiesa che c’invita alla scuola di Gesù il cui insegnamento non invecchia, anzi sempre più attuale. Mentre avanziamo, pur avendo l’impressione ogni anno di riascoltare sempre le stesse cose, la liturgia ci educa a leggere i fatti della vita e a comprenderli alla luce sempre nuova di Cristo.
Il salmo responsoriale tratto dal salmo 79/80 interpreta così la nostra preghiera: “Signore, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi” e in effetti solo nel Dio di Gesù Cristo l’esistenza umana assume il suo pieno senso e valore. Saggiamente ogni anno la liturgia ci pone gli evangelisti come guide: quest’anno sarà san Marco con il suo vangelo; lo scorso anno era san Matteo e nel prossimo anno sarà san Luca, mentre ogni anno ritorna anche quello di Giovanni. Pur con diversi dettagli e sfumature unico e sempre medesimo è l’annuncio cristiano che concerne la persona di Gesù Cristo vero Dio e vero uomo. Lo contempleremo a breve nella sua nascita a Betlemme e poi lo seguiremo negli anni della vita pubblica sino alla sua morte e risurrezione per giungere alla Pentecoste, quando lo Spirito Santo avvierà la missione pubblica della Chiesa nella storia.
Il cristiano vive per annunciare e testimoniare Gesù Cristo e in questo periodo s’avverte il bisogno d’un rinnovato annuncio di Colui che è l’Alfa e l’Omega, ‘il Principio e la Fine’ di ogni cosa…il solo Maestro, il solo Signore, il solo Capo, il solo Modello, il solo Medico, il solo Pastore, la sola Via, la sola Verità, la sola Vita, il solo tutto che ci deve bastare in ogni cosa. Il tempo di Avvento, con i suoi costanti richiami alla vigilanza, non è semplicemente la preparazione al Natale di Gesù, ma l’occasione propizia per prendere in mano la vita e decidere di farci vigili sentinelle, forti nello spirito, nel prepararci alla sua gloriosa venuta nel mondo: questo chiediamo nell’orazione introduttiva dell’odierna celebrazione eucaristica. Da umili discepoli di Gesù contempleremo in Lui il volto di Dio che già il profeta Isaia nella prima lettura descrive “nostro padre e nostro redentore”.
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Dio come padre! Considerando la crisi che attraversa la figura paterna e l’autorità nell’odierna cultura nei nostri Paesi, mai come oggi appare necessario e urgente riassaporare la tenerezza di Dio Padre. La prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia, ci aiuta a capire che si tratta d’una esigenza emergente nel cuore di ogni uomo e in ogni tempo. L’autore sacro, con un linguaggio tenero e appassionante, riferisce una supplica penitenziale armata di fiducia e animata dalla consapevolezza della nostra ingratitudine verso Dio: non ci rendiamo conto dei suoi interventi salvifici e li disprezziamo con i nostri peccati; lo riteniamo assente dalla nostra esistenza e, come spesso avviene, siamo convinti di essere abbandonati a noi stessi dinanzi a eventi dolorosi o drammatici.
Ma non sono proprio le difficoltà, gli eventi tristi e carichi di sofferenza, che descriviamo come disgrazie, ad obbligarci a riflettere? Non sono i drammi quotidiani che la cronaca riporta a spingerci a riconoscere che “tutti siamo avvizziti come foglie, e le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento”? Abbagliati dall’illusione di sogni di piacere e da chimere di facile successo, contando troppo sulle nostre potenzialità, dobbiamo umilmente confessare, con il profeta, che si finisce per smarrirsi: “nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te perché tu avevi nascosto a noi il tuo volto e ci avevi messo in balia delle nostre iniquità”.
Quando nella difficoltà ci si sente perduti con il cuore affranto nasce spontanea quest’invocazione di aiuto: “Signore perché ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? E l’animo spezzato dal rimorso, ma sorretto da un’innata fiducia, osa proferire la supplica che il profeta Isaia innalza a nome del popolo scoraggiato: “Ritorna per amore dei tuoi servi…Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti”, perché tu l’hai fatto in tanti momenti della nostra storia e mai si è sentito dire e vedere “che un Dio, fuori di te abbia fatto tanto per chi confida in lui”.
La consapevolezza di avere in Dio un “nostro padre e nostro redentore” riaccende la speranza e fa rinascere il coraggio di proseguire nella lotta contro il male e nell’impegno per il bene. Con quest’apertura di animo entriamo nell’Avvento, pregando perché si ridesti in noi la voglia della conversione e di un vero entusiasmo spirituale. E in questo viaggio spirituale che accomuna tutti i credenti ci sia d’incoraggiamento la celebre benedizione del viaggiatore di san Patrick, vescovo e missionario irlandese di origini scozzesi: “Possa la strada aprirsi mentre ti avvicini, possa il vento essere sempre alle tue spalle; che la luce del sole riscaldi il tuo viso; possa la pioggia scorrere nel tuo campo e, finché non ci incontreremo di nuovo, possa Dio tenerti nel palmo della sua mano”.
Certi che Dio non ci abbandona in questo nostro pellegrinaggio terreno, entriamo fiduciosi nell’Avvento, prima tappa dell’anno liturgico, e guardiamo sin d’ora al Natale, mistero della gioia e della pace, dono della nascita di Cristo. Incontreremo fra qualche settimana il Bambino Gesù, ma lo sguardo non si staccherà dalla realtà e dai molti eventi che in ogni parte del mondo indicano che ci si sta allontanando da lui e dal suo messaggio di salvezza. Credendo e sperando di poter costruire una felicità con le sole mani dell’uomo, l’umanità tocca e sperimenta la sua fragilità, l’incapacità a costruire una società libera e solidale e si è costretti a registrare ogni giorno continue sconfitte. La liturgia c’immerge in un bagno di umiltà e di fiducioso abbandono in Dio, come esorta ancora a pregare il profeta: “Signore tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani”. Nulla possiamo senza di te, Signore!
Torniamo al breve brano evangelico odierno dove per ben quattro volte Gesù c’indica la strada da percorrere ribadendo l’invito, persino il comando a vegliare: “Fate attenzione, vegliate perché non sapete quando è il momento… è come un uomo partito che ordina al portiere di vegliare… vegliate dunque perché non sapete quando il padrone di casa tornerà” E conclude in modo perentorio: Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!” Ecco la consegna che raccogliamo e che diventa la chiave d’interpretazione della realtà e la condizione per vivere vigilanti e non farci sorprendere impreparati quando “il padrone di casa ritornerà”, il che può avvenire a qualsiasi ora e in qualsiasi modo. “Vegliare” è lo stile del nostro essere cristiani, pellegrini nel tempo verso l’eternità. Avvento e conversione sembrano implicare un medesimo dinamismo spirituale, uno stesso orientamento religioso che possiamo sintetizzare in tre attitudini ascetiche che il tempo liturgico dell’Avvento suggerisce:
Vegliare è anzitutto riscoprire la vigilanza come silenzio che attende una Parola, il Verbo eterno che sta per farsi carne; nascendo egli esige un cuore pronto ad accettarlo e un orecchio attento a rilevarne e captarne ogni cenno; vegliare trova un simbolo concreto nella disponibilità del servizio che rende solleciti e pronti a rispondere alle esigenze di tutti con la capacità di cogliere in ogni evento un appello segreto di Dio che ci parla al cuore con amore previdente; infine vegliare mette in luce la necessità di essere costanti nell’attendere, pazienti nel vigilare su noi stessi e pronti a percepire ogni input d’ovunque ci giunga, che ci aiuti a conservare la fiducia e maturare nella speranza.
AUTORE: Mons. Giovanni D’Ercole, Vescovo emerito – Pagina Facebook – Sito Web