Mons. Giovanni D’Ercole – Commento al Vangelo del 25 Giugno 2023

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1. “Non abbiate paura degli uomini…non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo …non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri”.
Quest’oggi e domenica prossima la liturgia offre alla nostra riflessione il discorso “missionario” o “apostolico”, che occupa quasi tutto il decimo capitolo del Vangelo di Matteo.  (Mt 10,5-42). Si tratta del secondo più diffuso discorso in questo vangelo, che troviamo anche in san Luca, segno che, con tutta probabilità, entrambi attingono alla medesima fonte. In questo discorso due aspetti concernenti la missione attirano la nostra attenzione: la paura nella persecuzione e il riconoscere o rinnegare Gesù. Da sempre, ovunque si annuncia e si vive con coerenza il Vangelo sorgono opposizioni e persecuzioni. Il Vangelo è scomodo e può sempre, in ogni tempo e in ogni contesto, portare persino alla morte chi lo annuncia e vuole restare coerente testimone di Cristo in ogni situazione. Gesù ci dice chiaramente che, in qualsiasi modo avvenga, la persecuzione per gli apostoli è inevitabile: nessun discepolo è infatti più grande del suo maestro.

Queste parole del Signore, dall’alba del cristianesimo ad oggi, sono sostegno per i cristiani perseguitati in odio alla fede e ogni nazione della terra è irrorata dal sangue dei martiri. Scriveva san Pietro a una comunità segnata da tante prove: «Carissimi, non siate sorpresi per l’incendio di persecuzione che si è acceso in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano. Ma nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare. Beati voi, se venite insultati per il nome di Cristo, perché lo Spirito della gloria e lo Spirito di Dio riposa su di voi (1Pt 4, 11-15). Le parole dell’apostolo sottolineano che il martirio per il cristiano è la condizione normale del suo stato, ma soffrire con Cristo e per Cristo è fonte di gioia e di beatitudine.

2. Missione e martirio vanno dunque insieme e la vita del credente può comportare lo spargimento di sangue. Nel Nuovo Testamento troviamo almeno tre vocaboli simili: martyría, che vuol dire testimonianza, presente 37 volte, martyréô, testimoniare, utilizzato 46 volte e mártys, testimone ,35 volte, senza contare altre variazioni sullo stesso temaEssere discepoli di Cristo comporta imitare il maestro, e quindi, quando si sceglie di rendersi disponibile all’annuncio e alla testimonianza del Vangelo, non ci si deve meravigliare delle persecuzioni e neppure va esclusa l’eventualità del martirio. Con il tempo, soprattutto in ambito missionario, dei monaci dell’Irlanda dove non ci furono martiri, si cominciò a parlare di tre forme di martirio: il martirio rosso caratterizzato dallo spargimento del sangue; il martirio bianco, proprio di chi dedica la vita a Dio nell’ascesi e nella verginità; il martirio verde di chi coltiva opere penitenziali o si reca come missionario del Vangelo in paesi lontani. Si tratta di un singolare sviluppo della vita teologale: la fede ci rende capaci di fedeltà quotidiana alla nostra vocazione (martirio bianco); la speranza ci fa disponibili a rinunciare a tutto per il Signore con una costante conversione e la ricerca di ascesi e penitenza (martirio verde); infine la carità rende possibile persino il dono di tutta la vita (martirio rosso). Ma oggi è ancora attuale parlare di martirio? Credo che non solo sia attuale, ma addirittura necessario. Infatti in questa nostra epoca, specialmente nel mondo occidentale, la possibilità di essere martiri, oltre allo spargimento di sangue, assume quasi ogni giorno vari volti. Ad esempio, al cristiano che intende restare fedele al Vangelo è chiesto di camminare controcorrente rispetto al dominio del pensiero unico e della “cultura dello scarto” per contrastare uno stile di vita che accetta la mediocrità come scelta esistenziale e giustifica un diffuso modo di sentire così sintetizzabile: il diritto è la soddisfazione di ogni desiderio. Questo è frutto del cosiddetto pensiero “debole”, che giudica impossibile assumere decisioni forti e responsabili, scelte coraggiose e definitive e pertanto compiere atti eroici. Connesso a ciò, il credente sa di dover resistere con vigore alla convinzione ormai comune che ritiene dogma inappellabile l’impossibilità di raggiungere la verità. E se così è, la vita personale e sociale si basa su valori cosiddetti liquidi e decisioni e scelte affidate al singolo individuo, negando di fatto la possibilità di pervenire alla vertà.

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3. E’ chiaro che, poiché il Vangelo investe tutti gli ambiti del vivere umano, oggi siamo provocati nella nostra fede e occorre un supplemento di forza divina per non cedere a compromessi che ci allontanano dal Vangelo stesso. Diceva ad esempio il defunto cardinale Francis George, Arcivescovo di Chicago: ‘Penso di morire nel mio letto, ma il mio successore ho paura che morirà in prigione. E il successore ancora temo che morirà fucilato’. Ed a chi gli chiedeva il perché di questo rischio, rispondeva: “Perché difendiamo la famiglia, affermiamo che la famiglia è composta da un uomo e da una donna e la vita deve nascere da un padre e da una madre. Saremo perseguitati per questo”.  E che dire del vescovo del Nicaragua Rolando Álvarez? Nel silenzio generale, da tre mesi ormai gli viene impedito qualunque contatto o visita. Per aver difeso la sua gente vive in prigione in un loculo senza luce e senza poter uscire, in totale isolamento e con un caldo che arriva a 45 gradi. Una tortura che forse è peggiore di una condanna a morte. Si trova in queste condizioni dal 9 febbraio e dovrebbe starci per ventisei anni. Come restare insensibili? Assuefatti ormai a tutto si può rischiare di vivere una fede che non passa attraverso la carne e il sangue, per cui episodi del genere dovrebbero scuotere la nostra coscienza. Nel nostro mondo, fra le tante contraddizioni e ingiustizie, non va taciuto che in alcuni paesi, coraggiosi credenti vescovi, sacerdoti, religiose, religiosi e laici vengono denunciati, messi sotto processo, condannati e talora sottoposti al martirio perché fedeli alla loro missione, ma più sono vessati più aumenta il loro coraggio. É proprio vero che quando si è perseguitati a causa di Cristo si mantiene viva e forte la propria fede, rispetto a comunità cristiane che cedono alle lusinghe o alle minacce di qualsiasi forma di potere. Quinto Settimo Florente Tertulliano, apologeta e scrittore cristiano vissuto a cavallo tra il secondo e terzo secolo d.C. scrive che «sanguis martyrum, semen christianorum, il sangue dei cristiani è seme di nuovi cristiani», perché la persecuzione e il martirio sono una condizione fisiologica della fede cristiana, che le impedisce di morire soffocata dalla comodità del quieto vivere o dal cinico imborghesimento.

4. “Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al padre mio che è nei cieli”. Meditando queste parole di Gesù, capisci che Il Vangelo non fa sconti ed è per questo scomodo e pericoloso. Se, come spesso avviene, si cerca di addomesticarlo per renderlo più consono al pensiero del momento, esso perde tutto il valore. Anzi, come Gesù insegna, non serve a nulla più, come quando si nasconde la luce, o come il sale che diventato insipido va gettato e calpestato. Non bisogna aver paura di gridare sui tetti la Sua Parola, purché lo si faccia proclamandola nella sua integrità e in modo aperto. Diversamente, il messaggio perde la sua efficacia ed è un vero tradimento delle consegne del Maestro. Il Vangelo mostra chiaramente che nei momenti più carichi di contrasti e di tensione Gesù non scende mai a compromessi. Fu così, ad esempio come narra l’evangelista Giovanni, al termine del lungo discorso sul pane di vita disceso dal cielo, quando molti lo abbandonarono e lui non fece nulla per trattenerli. Anzi disse ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». E commuove sempre la risposta di Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv6,68-69). Nonostante questa coraggiosa professione di fedeltà, Pietro rinnegherà il Maestro durante la passione, un rinnegamento che però farà di lui un umile discepolo pronto, perdonato dall’amore del Signore, a guidare la barca della Chiesa. Parlando ai discepoli, nell’odierno brano evangelico, Gesù usa lo stesso verbo ‘rinnegare’, che qualifica il rinnegamento di Pietro quando ripeterà, persino giurando, di non averlo conosciuto (cf Mt 26, 70- 72). Ma Gesù scruta e sa come è il cuore dell’uomo e per questo esorta a non perdersi di animo e a resistere alla tentazione della paura e della tristezza che sono le armi di satana; invita a non temere le persecuzioni e a non tacere o manomettere la verità del suo Vangelo. Tante volte nel corso della storia e nella vita personale può venire meno la coerenza della testimonianza. Fu così per i primi cristiani, i cosiddetti “lapsi”, che per salvare la vita sacrificarono gli idoli, e così è successo in ogni tappa del cammino della Chiesa. E oggi che dire della nostra fedeltà al Vangelo di Cristo? Chiediamoci onestamente: “Mi è capitato di lasciarmi prendere dalla tentazione di vergognarmi o avere paura di testimoniare la mia fede e ho tenuto la parola di Dio in qualche modo nascosta? Non ho mai sperimentato la gioia di chi, pur soffrendo tra tante incomprensioni, resta ancorato a Cristo?”

5. Il Vangelo che stiamo meditando, fa emergere due atteggiamenti di fondo, che colui che vuole essere discepolo di Cristo deve imparare a vivere e rinnovare ogni giorno: fiducia totale in Dio nostro Padre e attaccamento senza condizioni a Gesù che ci chiama a condividere la sua stessa passione. Un legame con l’Uomo Dio della passione può provocare angustia e timore: ecco perché il Signore c’incoraggia a più riprese e per tre volte ripete “non temete” con le motivazioni che lo fondano. Rinnovare ogni giorno il nostro affidamento al Padre e cercare di offrire le nostre fatiche e sofferenze unendole a quelle di Cristo aiuta a crescere nella libertà che sgombera il cuore da ogni paura. E’ la libertà di chi si dedica senza condizioni all’annuncio del Vangelo; la libertà di non vergognarsi di riconoscere e proclamare in pubblico che Gesù è il Signore della nostra esistenza e sforzarsi di vivere come suo amico con scelte coerenti. Non dimentichiamo che siamo fatti per il paradiso e la nostra eterna salvezza dipende dalle nostre scelte di oggi. Scriveva il santo cardinale John Henry Newman: “Se esistiamo per grandi progetti, siamo chiamati a grandi pericoli”. Possiamo chiederci: “Che cosa hai rischiato tu per la tua fede?” mentre ogni giorno nella preghiera rinnoviamo la nostra umile e coraggiosa disponibilità a seguire Gesù. Papa Francesco, nella domenica dedicata alla Parola di Dio il 21 gennaio di quest’anno, ha formulato una preghiera che mi piace qui riprendere: “O Dio, che affidi alla nostra debolezza l’annunzio profetico della tua parola, sostienici con la forza del tuo Spirito, perché non ci vergogniamo mai della nostra fede, ma confessiamo con tutta franchezza il tuo nome davanti agli uomini, per essere riconosciuti da te nel giorno della tua venuta”. Don Bosco amava ripetere: ‘Se Dio è con noi siamo la maggioranza!”. La Parola di Cristo sia dunque luce, sollievo per il nostro cuore affaticato, dono che germoglia in noi in modo spontaneo, spada che penetra nella vita mettendoci in crisi e ci trasforma. E quando lungo la giornata si avverte il peso, la fatica, il “pericolo” a cui espone il credere e il testimoniare Gesù, non stanchiamoci di ascoltare il suo invito: “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo”. Consolante è dunque la sua Parola, annuncio dirompente di Dio che trasforma la vita, gioia di sapere che Dio è Padre e si rivolge a ciascuno, Parola che diventa carne per accarezzare, come dice papa Francesco, “la carne di chi soffre” e trovare il Lui l’ardore della nostra fedele sequela del Vangelo.

AUTORE: Mons. Giovanni D’Ercole, Vescovo emerito – Pagina FacebookSito Web
✝️ Commento al brano del Vangelo di:  ✝ Mt 10,26-33