1. ”Gesù parlò loro di molte cose in parabole e disse: Ecco il seminatore uscì a seminare”. Dopo quello missionario o apostolico che la liturgia ci ha dato occasione di meditare nelle scorse domeniche, oggi e nelle prossime due domeniche avremo modo di ascoltare alcune parabole che san Matteo raccoglie nel suo terzo e lungo discorso detto del Regno, che occupa l’intero capitolo tredicesimo del suo vangelo. Il contesto in cui si collocano le parole di Gesù è cambiato rispetto ai due discorsi precedenti. L’entusiasmo delle folle che all’inizio avevano accolto la sua predicazione ed erano stupite dei miracoli che compiva, ora va spegnendosi a causa soprattutto dell’ostilità dei capi religiosi giudaici, che prende corpo e si manifesta sempre più apertamente, decisi ormai a “farlo fuori” (cf. Mt 12,14). Nonostante
questo il Signore non si stanca di proclamare la sua parola e non si lascia frenare dagli ostacoli e nemmeno dal rigetto di molti che lo abbandoneranno e alcuni lo tradiranno, giungendo sino a farlo condannare a morte in croce. In questo clima possiamo meglio comprendere il discorso parabolico che si apre con la “parabola del seminatore”, la più nota e citata tra le parabole evangeliche. Gesù proclama “la parola del Regno”, annuncia il Regno dei cieli, da non intendere tanto come realtà futura, quanto piuttosto come misteriosa presenza e signoria del Padre celeste già oggi sulla Terra, presenza divina che rinnova e trasforma le relazioni umane liberandole dall’egoismo e da ogni forma di schiavitù.
Ogni parabola, e in particolare quella del seminatore e del seme sparso un po’ ovunque, ci invita a considerare la vita della Chiesa come terreno di semina e ci chiama a lavorare per preparare il futuro della mietitura. Le prime comunità cristiane lo avevano ben compreso ed identificavano il tempo della semina con il tempo del “già e non ancora” dove a tutti è offerta la ricchezza della parola del Regno e che alcuni accolgono e mettono in pratica, a differenza di altri che la rifiutano e si perdono.
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“Il seminatore uscì a seminare”: queste parole introduttive della parabola mostrano l’immagine del paziente seminatore che getta il seme ovunque senza risparmiare i più impervi spazi di terra, persino sulla strada dove calpestato il seme muore. La prima riflessione che nasce spontanea concerne la generosità di questo contadino che spera persino di trarre frutto da semi arrivati in luoghi del tutto improduttivi. La parabola indica che l’evangelizzazione non va concepita con l’ottica della “efficienza della produttività” secondo logiche umane, quanto piuttosto occorre imparare a rifarsi alla logica di Dio che, eccedendo in magnanimità e misericordia, non si stanca di spargere abbondantemente in tutti gli ambiti dell’umanità il seme della sua parola salvifica. Ma è chiaro che a farla fruttificare sono soltanto coloro che si fanno “piccoli” e docili discepoli della Parola.
2. “Il seminatore uscì a seminare”. Nella Chiesa lo Spirito Santo continua a suscitare missionari e testimoni della Parola che escono ogni giorno a seminare il vangelo, lo proclamano coraggiosamente giungendo alcuni sino al martirio di sangue che, come afferma lo scrittore cristiano Tertulliano (155-230 circa), è “il seme di nuovi cristiani”. Come avveniva per Gesù, anche nei confronti degli autentici suoi seguaci nascono e si sviluppano l’opposizione e il rifiuto da parte di molti e, accanto a chi accoglie la parola con cuore aperto non manca chi la rigetta o la lascia cadere nell’indifferenza totale perché non la ritiene indispensabile per la sua vita.
Eppure i seminatori escono ancora a seminare malgrado che diminuisca il numero dei fedeli che si radunano nelle chiese per ascoltare la parola di Dio e siano disposti a metterla in pratica. Continuano a seminare laddove, pur partecipando alla liturgia domenicale, i fedeli non mostrano un serio cambiamento nel modo di vivere quasi da apparire inefficace la parola di Dio. Ci s’interroga su quali metodi pastorali siano più utili per far sì che l’ascolto diventi apertura del cuore all’azione della Grazia e come giungere anche a chi per principio o per preconcetti rifiuta di aprirsi.
Anima il cuore dei veri evangelizzatori la certezza, come scrive san Paolo a Timoteo, che “la Parola di Dio non è incatenata” (2Tm2,10). L’apostolo parlava della sua esperienza di evangelizzazione non ostacolata neppure dalle catene della prigione. Pure il profeta Isaia nella prima lettura dell’odierna celebrazione, così afferma: “Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare… così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”.
3. Mentre il seminatore seminava, “una parte cadde lungo la strada, una parte sul terreno sassoso, un’altra parte tra i rovi e finalmente una parte cadde sul terreno buono e diede frutto”. La parabola del seminatore offre un ulteriore insegnamento: se è certo che Dio non si stanca di diffondere la sua parola, l’attenzione ora si focalizza sulle caratteristiche di coloro che l’ascoltano. Alcuni la sentono risuonare ma in realtà non l’ascoltano perché non la ritengono interessante; è l’attitudine di chi prestando un’attenzione superficiale senza alcuna passione la lascia cadere e viene quindi calpestata o portata via. Altri aprono il cuore alla parola e persino si entusiasmano ma, essendo privi di seria interiorità, il loro animo non è in grado di farla crescere ed allora germoglia un po’ ma subito secca e muore.
Ci sono poi coloro che animati da buona volontà vorrebbero seguire Gesù e hanno tutto ciò che serve per essere fecondi spiritualmente ed infatti accolgono il vangelo e lo serbano in cuore. Coltivano però altri interessi spesso dominanti che contrastano la parola di Dio: l’amore per la ricchezza, la sete di piacere e l’ansia del potere, idoli tentatori che s’insinuano pericolosi nel cuore dell’uomo e quando vi si radicano non lasciano spazio a Dio. La sua parola viene allora contrastata per cui muore per mancanza di spazio vitale. Infine, c’è chi è disposto ad accettarla docilmente, la medita custodendola nella preghiera e si sforza di tradurla in gesti concreti di bene.
In questo caso il risultato è del cento, o sessanta o trenta per uno. A una semina che senza badare a spesse compie il seminatore sembra però far riscontro un risultato non proprio eccellente: tanto seme e tanta fatica con un guadagno tutto sommato assai piccolo. L’attenzione si concentro proprio su questa piccolezza: Gesù vuole dirci che nonostante ogni ostacolo a trionfare è sempre la potenza della sua parola che prima o dopo, in un modo o in un altro, porterà frutto. Niente e nessuno possono impedire il trionfo della parola di Dio e di questa sicurezza si nutre il credente non meravigliandosi delle apparenti sconfitte nell’evangelizzazione.
4. ”Chi ha orecchi, ascolti”, così ci ripete oggi Gesù. L’interpretazione forse più immediata e diffusa della parabola è la seguente: se sei terreno buono la parola di Dio vi produce il trenta, il sessanta o il cento per uno; se terreno inospitale non vi germoglia e se attecchisce non riesce a crescere perché secca oppure muore soffocata dai rovi, cioè dagli idoli del piacere, del potere e dell’avere. Occorre quindi sforzarsi di essere buon terreno coltivandolo con la preghiera e l’ascesi spirituale. C’è però un’altra chiave interpretativa partendo dalla certezza che Dio porta comunque e sempre a compimento la sua opera. Ciascuno di noi è terreno atto a produrre frutto, ma al tempo stesso la strada impenetrabile al seme, lo spazio sabbioso e improduttivo e la terra infestata da rovi: una via calpestata, un cuore ricolmo di sassi e tormentato dai rovi delle passioni.
La parabola ci offre l’occasione di discernere gli ostacoli che impediscono alla parola di Dio di germinare in noi e recare frutto, convinti sempre che la sua azione è efficace non a prescindere delle nostre difficoltà e lacune ma tenendo esattamente conto di esse. Il vangelo appare allora come la buona notizia da accogliere con speranza senza scoraggiarsi della fatica quotidiana. Nel cuore del vangelo c’è l’annuncio della Misericordia di un Dio che ama ciascuno con i suoi pregi e difetti. Se accogli la sua parola come un dono, il tuo cuore si aprirà alla fiducia e camminerai nella speranza riconoscendo l’enorme distanza che esiste tra quel che noi siamo e quanto Dio ci dona.
La Parola non è una legge da applicare, ma una Persona viva con cui entrare in dialogo, capace di suscitare un’incessante novità di pensiero e di azione. Metti in gioco la tua vita e non lasciar cadere il seme della sua parola lungo la strada, cioè non restare impermeabile alla sua potenza lasciandoti ammaliare dalle mille voci che ti assalgono e distraggono in tanti modi diversi. Fa’ dell’ascolto il tuo impegno più serio e l’orecchio del cuore si abituerà al linguaggio di Dio facendo sì che la sua parola generi in te la fede. Non lasciar cadere il seme nel terreno pieno di pietre e questo succede quando si accoglie con gioia e con entusiasmo la parola ma dinanzi a un’opposizione, a critiche e attacchi che possono venire da varie direzioni si cede per paura e si cessa di lottare, vittime della sfiducia e della paura con cui satana ci spinge ad abbandonare tutto.
Non permettere che il seme sia soffocato dai rovi che indicano il logorio della quotidianità e la somma degli interessi materiali che spegneranno in te ogni entusiasmo; resisti piuttosto con tenacia e ricomincia sempre di nuovo a fidarti di Dio e la sua parola diventerà il tuo pane di ogni giorno. La terra fertile che accoglie il seme è il prodigio che si compie in te quando perseverando nell’ascolto umile della parola diventerai sempre più simile a Dio in un misterioso dialogo che ti trasforma la vita. Potrai allora scontrarti con tutte le difficoltà della terra dei sassi e dei rovi, ma la potenza dello Spirito Santo ti renderà sempre più terreno fertile. Modello di tale prodigio è Maria, la Donna dell’ascolto, che oggi veneriamo come Madonna del Monte Carmelo. Di lei l’evangelista Luca a più riprese narra che “custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (lc 2,16-21)
AUTORE: Mons. Giovanni D’Ercole, Vescovo emerito – Pagina Facebook – Sito Web