- Domenica scorsa la parabola del re che chiama a lavorare nella sua vigna operai in ogni ora della giornata e a tutti alla fine assicura la stessa paga si concludeva con la protesta degli operai del primo mattino che avevano faticato più degli altri e in particolare di quelli assunti alla fine del giorno. Alle loro rimostranze il padrone risponde che non bisogna essere gelosi se egli vuole dare a tutti la medesima ricompensa senza tuttavia venir meno a quanto pattuito con ciascuno. Infondo non fa torto a nessuno chi abbonda in generosità.
Tra le tante interpretazioni possibili di questa parabola c’è chi nota come nella storia della salvezza ognuno in momenti diversi viene raggiunto dalla grazia divina, dono gratuito e assolutamente immeritato che comporta una missione da compiere secondo i tempi e le possibilità di ciascuno. C’è però una condizione imprescindibile per tutti: è la conversione del cuore all’amore divino per neutralizzare ogni forma di gelosia e invidia, tarlo satanico che inquina le buone intenzione e semina nelle comunità conflitti e divisioni. Solo quando il cuore si converte all’amore, si riusce a guardare e valutare tutto con il metro della logica di Dio perché, come domenica scorsa osservava il profeta Isaia nella prima lettura, i pensieri di Dio non sono come i nostri e le nostre vie non sono le sue. In altre parole, la parabola è un invito rivolto a tutti a rendersi conto del fatto che Dio ci ama così tanto da rispettare i tempi e le possibilità di ognuno, sino all’ultimo istante della vita perché il suo sogno è portarci tutti nel suo regno, in paradiso.
- La liturgia di questa 26ma Domenica del Tempo Ordinario ci orienta nella stessa direzione e la parola di Dio ci mette in guardia dal fidarci troppo di noi stessi e c’invita a non giudicare gli altri dalle apparenze. Nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Ezechiele, viene sottolineata la responsabilità di ciascuno e vengono poste alla nostra riflessione due opposte situazioni: il perverso può convertirsi per cui mai condannare qualcuno perché c’è tempo fino alla morte per recuperare quanto perduto. Allo stesso modo deve stare in guardia chi si ritiene giusto perché nulla può renderlo sicuro di perseverare. Può infatti avvenire di tutto nella vita e ogni situazione può essere ribaltata, come l’esperienza dell’umanità ampiamente dimostra, perché le vicende dell’uomo si giocano costantemente tra la nostra libertà e la grazia divina.
Scrive sant’Agostino: “Quale uomo è in grado di giudicare un altro uomo? Il mondo è pieno di giudizi avventati. Colui del quale dovremmo disperare, ecco che all’improvviso si converte e diviene ottimo. Colui del quale ci saremmo aspettati molto, a un tratto si allontana dal bene e diventa pessimo. Né il nostro timore, né il nostro amore sono stabili” (dal discorso sui pastori).
- E aggiunge:” Che cosa sia oggi ciascun uomo, a stento lo sa lo stesso uomo”. A questo fa pensare il vangelo che ritrae una storia familiare: un padre con due figli, l’uno ossequiente e apparentemente obbediente in tutto, ma nei fatti infedele e non esegue quanto gli si chiede. L’altro, il primo, è recalcitrante e dice di non avere voglia ma poi si pente, ci ripensa e porta a compimento quanto gli è domandato. Non è difficile notare qui l’eco delle forti critiche che Gesù faceva ai farisei e ai maestri della legge mosaica che all’apparenza erano perfetti osservanti d’ogni precetto, ma nell’intimo ribollivano di egoismo e onoravano Dio solo a parole. Pretendevano di porre sulle spalle degli altri fardelli insopportabili, mentre loro conoscevano ogni cavillo giuridico per restare nel rispetto delle norme davanti agli occhi della gente, ma il loro animo era ben lontano dalla verità dell’amore. Al contrario i pubblicani e i peccatori ritenuti impuri, si avvicinavano a Gesù che non apprezzava sicuramente il male che facevano, ma li accoglieva e apriva con loro un dialogo che li conduceva alla conversione. E’ avvenuto così con lo stesso evangelista Matteo che qui certamente fa echeggiare la sua esperienza. Gesù entrava nelle loro case, ne condivideva persino i pasti e insegnava loro il vangelo, ma questo scandalizzava i cultori della legge mosaica perché erano accecati dalla gelosia e dall’odio nei confronti di Gesù.
- Questa breve parabola si chiude con un lapidario commento del Signore: “In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”. L’invidia, la gelosia, l’orgoglio e la superbia sono all’origine di tante divisioni e contrasti nelle prime comunità cristiane, come capita spesso pure in questi nostri tempi. Come allora superare le fratture e le problematiche che vengono a crearsi? La seconda lettura tratta dalla lettera di san Paolo ai Filippesi ci indica la strada da percorrere: coltivare e alimentare in noi gli stessi sentimenti di Cristo. E’ un appello all’unità della fede nutrita costantemente dall’umiltà, condizioni indispensabili per configurare la nostra vita su Cristo “servo”, modello d’ogni suo discepolo.
- Siamo davanti a una stupenda contemplazione del mistero di Cristo: “Egli pur essendo nella condizione di Dio non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò sé tesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini”. Svuotò sé stesso: questo concetto espresso dal termine greco “kenosis” dice qualcosa d’impossibile da immaginare e da descrivere, eppure sintetizza il cuore della storia della salvezza: Dio non solo si mette al passo degli uomini assumendo la nostra stessa natura, ma ne diventa servo, schiavo obbediente sino a morire e ancor più si “svuota” facendosi pane, pane eucaristico di vita immortale per nutrirci e tenere viva ogni nostra aspirazione alla salvezza.
- San Paolo ci stimola ad avere “gli stessi sentimenti di Cristo” e quindi a seguirlo nel cammino dell’umiltà e dell’obbedienza fino alla morte, abbracciando la sua croce per poter poi essere con lui esaltati nella gloria celeste. Dunque, la nostra vocazione è vivere in Cristo per diventare membri della sua famiglia che è la Chiesa. Ogni credente in Cristo diventa fratello e sorella per cui vanno abbattuti tra noi gli steccati delle divisioni e dei contrasti, delle invidie e delle gelosie, per nutrire i sentimenti che ispirano le nuove disposizioni delle quali l’Apostolo parla e cioè l’amore, la comunione, la tenerezza, la compassione. Si tratta d’un mistero di amore in cui siamo stati immersi con il battesimo e ora dobbiamo viverlo nel quotidiano: “rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi”.
- Se questo è il progetto di Dio già realizzato sulla terra con il sacrifico della croce, ci resta però un lungo camino per renderlo vita della vita nostra e di ogni comunità. Il segreto dell’unità e della comunione è vivere in Dio-Trinità e questo ci viene ricordato all’inizio di ogni celebrazione eucaristica, quando il sacerdote apre l’assemblea con quest’augurio tratto dalla seconda lettera di Paolo ai Corinti: “La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi (2Co 13,13).
AUTORE: Mons. Giovanni D’Ercole, Vescovo emerito – Pagina Facebook – Sito Web