LUNEDÌ 29 NOVEMBRE – I SETTIMANA DI AVVENTO [C]
«Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito ».
Un centurione si presenta a Gesù e non chiede esplicitamente la guarigione del suo servo. Gli descrive invece la condizione del servo. Lui chiede descrivendo. Lui prega scongiurando, implorando. Scongiura e implora, manifestando in quale stato versa il suo servo: “Giace in casa paralizzato e soffre terribilmente”. Ogni cuore ha la sua preghiera. C’è una preghiera per ogni cuore. Tante sono le forme della preghiera, quanti sono gli uomini che pregano secondo verità. La nostra saggezza pastorale è quella di far sì che ogni preghiera sia vera nella sostanza. Le forme lasciamole all’uomo e al suo cuore. Spesso combattiamo le forme, mentre lasciamo nella falsità l’essenza stessa della preghiera.
Gesù sa qual è il desiderio di questo centurione, perché sa qual è il grande amore di quest’uomo per il suo servo. Il centurione non prega per se stesso. Prega invece per un suo servo. Non prega perché il servo gli serve sano. Questo sarebbe puro egoismo. Prega perché vede il suo servo nella grande sofferenza. La preghiera mai potrà dirsi vera, santa, giusta, quando cerchiamo qualcosa per gli altri, perché gli altri ci servono. La preghiera è santa e giusta se cerchiamo per gli altri solo per amore per gli altri. La preghiera per gli altri deve essere il più grande gesto di carità, di misericordia, di compassione, di pietà. Possiamo anche cercare per gli altri quando il bene degli altri ritorna in nostro favore, ma solo perché una gloria più grande possa sempre salire al Signore. In questo caso non è per un bene per la nostra persona, ma è per un amore più grande verso i fratelli e verso Dio e questo amore deve passare necessariamente attraverso noi. Il fine della preghiera deve essere sempre la carità, l’amore; può essere anche un amore più grande che deve passare attraverso noi e che non potrebbe passare senza la grazia che chiediamo al Signore per gli altri. Gesù ascolta il cuore del centurione e gli risponde: “Io verrò e lo curerò”. Vengo con te, me lo presenterai ed io lo curerò. Questa la promessa di Gesù al Centurione.
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Umiltà e fede più grandi di queste che manifesta il centurione non esistono. Il centurione vede la grandezza di Cristo. Lo vede in tutto simile a Dio. Lo chiama: Signore. Nel contesto post–pasquale sappiamo qual è il vero significato di : “Signore”. Vede anche la sua pochezza, la sua nullità, il suo niente. Egli non si sente degno di accogliere nella sua casa il Signore. Ma cosa più sorprendente, sa che per Gesù è sufficiente che dica una sola parola perché il suo servo riacquisti la perfetta sanità. Quest’uomo vive di perfetta conoscenza di se stesso e di Cristo Gesù: il niente dinanzi al Tutto, l’uomo dinanzi a Dio, il servo dinanzi al Signore. Il Tutto, Dio, il Signore può anche agire per comando, per via indiretta. Quest’uomo è un soldato che può comandare. È un soldato sopra gli altri. Lui non fa sempre le cose di persona. È sufficiente che dia un ordine perché le cose si facciano. Gesù ha tutto il mondo cui può comandare. Il visibile e l’invisibile sono sotto il suo governo. È sufficiente che Gesù dica un parola e tutto obbedisce al suo volere.
Se si può fare con una parola, non c’è neanche bisogno che Gesù si sposti per andare in casa sua. Doppia è quindi la motivazione: Per ragioni di umiltà. Contemplando l’altezza divina di Cristo lui si vede non degno di accogliere nella sua casa il Signore. Per ragioni di fede. A Gesù basta comandare e tutto ciò che esiste, nessuna cosa esclusa, obbedisce prontamente ad ogni suo desiderio, ordine, ingiunzione. Grande è l’altezza, la profondità, la larghezza, la lunghezza divina di Cristo Gesù. Misurando le profondità di Dio che non possono in alcun caso essere misurate, è giusto che prendiamo coscienza del grande amore con il quale Dio ci ha amati: non solo ci ha creati, per la nostra redenzione eterna si è fatto uomo. Non solo si è fatto uno di noi, per noi si è lasciato inchiodare sul legno della croce. Per noi è morto, al posto nostro. Dovremmo riflettere su questa eterna verità. Noi ancora non abbiamo compreso il grande mistero dell’incarnazione. Il Signore ci conceda questa grazia.
LEGGIAMO IL TESTO DI Mt 8.5-11
Entrato in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò». Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa». Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti». E Gesù disse al centurione: «Va’, avvenga per te come hai creduto». In quell’istante il suo servo fu guarito.
Gesù vede il centurione come il solo che possiede una fede così vera, perfetta, integra, santa. Lui è un pagano. Neanche i figli di Israele possiedono una fede così pura. Non la possiedono perché Gesù non l’ha trovata. Se Gesù non l’ha trovata, essa non esiste nei loro cuori. Un pagano diviene così maestro per i “possessori” della fede vera nell’unico Dio e Signore. Un pagano insegna ai credenti la vera verità su Cristo Gesù. Il mistero della grazia di Dio valica sempre i confini angusti stabiliti dalla religione. La grazia di Dio non ha confini. Il confine della grazia è il cuore dell’uomo. Dovunque c’è un cuore, lì c’è spazio per tutta la grazia di Dio. Se siamo capaci di cogliere le profondità di un cuore, liberi da ogni pregiudizio, sapremo anche vedere Dio là dove veramente Lui opera ed agisce. Ognuno personalmente è chiamato ad approfondire questo mistero. Nessuno si deve trincerare nel suo piccolo mondo, o in quelle verità fossilizzate nella sua mente che non danno salvezza.
Gesù apre ora gli angusti confini, allarga gli orizzonti della piccola fede del suo popolo. Lo invita a guardare lontano, molto lontano. Gli chiede di vedere i popoli che dall’oriente e dall’occidente, da ogni direzione, sarebbero venuti alla vera fede, alla stessa fede professata ora dal centurione. Per questa fede professata, fede larga, spaziosa, libera, fede aperta alla pienezza della verità, fede che sa leggere dentro il mistero di Cristo Gesù, molti pagani avrebbero fatto parte eternamente del regno dei cieli. La via per appartenere al regno è la fede vera. Questa fede vera tutti la possono ricevere. Essa è per ogni uomo. Non si appartiene al regno per nascita, per discendenza, per razza, per tribù, per nazione, o per qualsiasi altro motivo che viene dalla terra. Si appartiene al regno per fede e questa fede discende direttamente da Dio come sua purissima grazia. Questo il popolo del Signore deve sapere. Sapendolo, si può aprire alla grande novità che Dio si sta accingendo a compiere per l’umanità intera. Questa verità vale sempre, sino alla consumazione dei secoli. Questa verità potrà sempre rompere gli angusti confini del cuore governato da una fede angusta, povera, piccola, triste. Urge riflettere e meditare molto.
Perché i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti? Perché la loro fede è fondata sulla carne e non sul mistero di Dio. Essa non è fede che salva l’umanità intera, è fede che esclude l’umanità dalla salvezza. È fede misera per potersi aprire al grande mistero di Cristo Gesù. Essa è più un calcolo matematico, che comprensione sempre nuova, sempre attuale, del mistero che Dio si accinge a svelare sempre nuovo ai suoi figli. Essa è fatta più di una tradizione fondata sui desideri dell’uomo che non sulla volontà del Signore. Essa è incapace di vedere il Signore che oggi opera attraverso la Persona di Cristo Gesù. I vizi della loro fede sono i più grandi nemici della loro religione. Come si fa a togliere ogni vizio della fede? Portandola nel mistero di Dio ed ancorandola sempre alla totalità della sua Parola. Liberandola da tutti quei pregiudizi della carne che sono frutto in noi del peccato che dimora nella nostra anima. Chi vuole una fede pura, deve possedere una moralità santa, sana, perfetta. Madre di Dio, aiutaci.
Nota: Questo commento al Vangelo è gratuito pertanto l’autore non autorizza un fine diverso dalla gratuità.