Mons. Costantino Di Bruno – Commento al Vangelo del 28 Dicembre 2021

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MARTEDÌ 28 DICEMBRE – OTTAVA DI NATALE [C]

Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più.

Quando si deve compiere il bene, ognuno è chiamato a mettervi la sua parte. Il bene è il frutto della misericordia di Dio, ma anche del concorso e della collaborazione dell’uomo. Se l’uomo manca nella sua parte, il Signore può anche fare il bene da solo, ma questa è via assai straordinaria. La via ordinaria è la perfetta sinergia tra l’opera di Dio e quella della creatura. Insieme Dio e l’uomo, insieme la sapienza di Dio e l’obbedienza dell’uomo. L’obbedienza dell’uomo al suo Signore è parte essenziale per il compimento del bene totale. Molti non arrivano al bene totale proprio in virtù della mancata obbedienza dell’uomo. Giuseppe è il responsabile dinanzi a Dio e agli uomini della Madre e del Bambino. A lui il Signore si rivolge nel sogno e gli dona un ordine perentorio, da porre in atto subito: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”.  Perché la salvezza totale si compia è necessario che tutto l’ordine venga posto in essere alla lettera, senza tralasciare alcuna cosa.

L’ordine dato dall’angelo a Giuseppe nel sogno si compone di quattro parti: Alzati: Quando? Subito. Immediatamente. Ora. Senza perdere neanche un istante, un secondo.  Prendi con te il bambino e sua madre: Giuseppe si deve alzare e prendere con sé il bambino e sua madre. Né la madre senza il bambino, né il bambino senza la madre. Insieme la madre e il bambino. E fuggi in Egitto: Deve prenderli subito e fuggire con loro in Egitto. Deve andare fuori della portata del potere di Erode. Deve fuggire, mettersi in salvo, là dove Erode non può arrivare.  E resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo: In questa occasione Giuseppe viene guidato nei minimi particolari. Nulla viene lasciato alla sua sapienza, o intelligenza, o buon senso. Lui deve andare in Egitto e lì rimanere finché il Signore di nuovo non lo avesse avvertito che avrebbe potuto fare ritorno in Palestina.

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L’obbedienza di Giuseppe è perfetta, perché immediata e comprensiva di ogni ordine che il Signore gli ha manifestato per mezzo del suo angelo, nel segno. La salvezza ha però sempre un costo in sofferenza, in sacrificio, in dolore sia fisico che spirituale. Il dolore serve a dare alla nostra persona quella santità sempre più grande, attraverso la quale il Signore salva il mondo in Cristo, per Cristo, con Cristo, nella sua sofferenza e nel suo dolore fino alla morte di Croce. Il dolore, la sofferenza è il crogiolo che purifica la nostra carne e il nostro spirito da ogni superbia e concupiscenza e ci avvicina alla santità di Dio. Senza dolore e senza sofferenza, senza il sacrificio non c’è vera obbedienza, perché la vera obbedienza genera sempre il sacrificio purificatore della nostra vita. Il male del mondo di oggi è proprio questo: la volontà satanica di abolire dalla nostra vita ogni sofferenza, ogni sacrificio, ogni abnegazione, ogni rinunzia. Si vuole tutto, subito, immediatamente. Si vuole concedere al corpo ogni vizio, all’anima ogni peccato, al nostro spirito ogni pensiero cattivo. Si vuole vivere in un mondo senza sofferenza (eutanasia e uccisione di quanti sono ritenuti un peso morto per la società).  Si vuole vivere in un mondo senza privazione alcuna (si domanda alla scienza di soddisfare tutte le richieste del cuore dell’uomo anche peccando contro l’uomo). Si vuole vivere in un mondo che nasconde il mistero della morte e del dolore abituale dalle case degli uomini (ignorando che è proprio la vista del dolore abituale un momento forte di apertura all’amore e alla fede). La salvezza nostra e degli altri è sempre il frutto di una grande sofferenza, di una forte rinunzia.

LEGGIAMO IL TESTO DI Mt 2,13-18

Ora viene rivelata tutta la malvagità di Erode che si trasforma in crudeltà. Volendo colpire ad ogni costo il nato re dei Giudei, pensa di riuscirvi facendo uccidere tutti i bambini dai due anni in giù. Il calcolo dei due anni è facile da computarsi: dalla visione della stella da parte dei Magi, al loro mettersi in viaggio, all’arrivo in Gerusalemme e poi in Betlemme, al loro non ritorno in Gerusalemme, è facile per quei tempi raggiungere una tale quantità di tempo. Inoltre bisogna anche considerare quel margine di sicurezza che con sagacia e scaltrezza Erode avrà anche calcolato. Così agendo, avrebbe avuto l’assoluta certezza di aver posto fine alla vita di Gesù. Così pensa l’uomo stolto e insipiente, ignorante, malvagio e crudele. Quest’uomo deve però sempre sapere che la vita dei giusti non è mai nelle mani degli uomini. È sempre nelle mani di Dio.

Con Rachele, la vita del bimbo costa la morte della madre. Geremia invece esorta Gerusalemme a non fissare lo sguardo sulla morte di coloro che venivano uccisi o deportati via dalla Terra promessa: “Così dice il Signore: Una voce si ode da Rama, lamento e pianto amaro: Rachele piange i suoi figli, rifiuta d’essere consolata perché non sono più”. La morte si avventa contro i figli di Gerusalemme. Gerusalemme piange per la morte dei suoi figli.  Il Signore la rassicura. La morte non regnerà per sempre in Gerusalemme. Il Signore per mezzo del suo profeta, manda a Gerusalemme un grido di consolazione e di certa speranza: “Dice il Signore: Trattieni la voce dal pianto, i tuoi occhi dal versare lacrime, perché c’è un compenso per le tue pene; essi torneranno dal paese nemico. C’è una speranza per la tua discendenza: i tuoi figli ritorneranno entro i loro confini”. Questa la storia e la profezia. Il Vangelo secondo Matteo vede nella morte di tutti i bambini di Betlemme, dai due anni in giù, il compimento della prima parte della profezia del Profeta Geremia.

Rachele, cioè l’umanità intera, sempre piangerà i suoi figli, quando il peccato dell’uomo governerà il suo cuore. Ognuno è parte dell’umanità, ognuno è carnefice e vittima. Ognuno può essere salvatore, ma anche distruttore, ognuno può portare pace e gioia, ma anche tristezza, pianto, lamento grande. Una verità è giusto che si affermi con coraggio, determinazione, fermezza grande: il peccato è sempre personale, è personale in ogni suo stadio di compimento. Se è personale, ognuno può interrompere in sé la forza del peccato, ognuno deve interromperla.

La crudeltà, la ferocia, la spietatezza di Erode trova il suo compimento nell’obbedienza dei soldati. Il soldato ha l’obbligo di interrompere la ferocia di Erode, pena anche la sua morte. Se non lo fa, lui è responsabile quanto Erode del pianto dell’umanità. Chi può interrompere il pianto di Rachele, dell’umanità intera, è solo la verità e la grazia di Cristo Gesù che entrano nei cuori e li governano, orientandoli sempre verso Dio. Ma questa grazia e verità sono anche esse il frutto di un pianto, questa volta non di Rachele, ma dello stesso Dio. È per questo pianto, che si trasforma in morte di croce, che l’umanità intera è messa in condizione di poter evitare lacrime ed urla di dolore e di sofferenza grande. Dalla sofferenza del Figlio di Dio, dalla sua trafittura, sgorga un fiume di grazia che se bevuta con volontà di conversione e di santità farà sparire, almeno per quanto attiene alla nostra personale responsabilità, il pianto e il dolore da tante mamme e da tanti figli. È un grande errore voler a tutti i costi andare a trovare la causa del pianto di Rachele, quando esso avviene, nel Cielo, presso Dio. La causa è nel nostro cuore ed è nel cuore dell’umanità.  La Madre di Dio, ci aiuti perché il cristiano sia sempre causa di vita.