Mons. Costantino Di Bruno – Commento al Vangelo del 27 Novembre 2021

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State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso.

Le dissipazioni sono la rovina della nostra esistenza cristiana perché quando un cuore si lascia prendere da esse, viene come spappolato, frammentato, polverizzato, ed ogni minuscola particella di esso è conquistata da ciò che avviene nel mondo e poiché nel mondo avvengono molte ed infinite cose, il cuore diviene un vagabondo dietro di esse. Ora vaga per di qua ed ora per di là. Nelle dissipazioni l’uomo non è più padrone del suo cuore, non lo può governare, né dirigere verso una qualche meta. Appunto perché è dissipato, il cuore neanche c’è nell’uomo, perché esso è nelle cose; ma non è nelle cose in modo totalitario, esso anche nelle cose è dissipato, spezzato, frammentato e con un cuore che non è dentro l’uomo, ma nelle cose, non c’è cammino verso Dio, c’è solo qualche formalità, vissuta di tempo in tempo, o come necessità sociale, o come cultura, struttura cioè della vita sociale.

Con le ubriachezze invece non si possiede lo spirito dell’uomo, il quale è reso inservibile, inefficace, inefficiente. È uno spirito che si esaurisce nell’attimo e quindi impossibile costituirlo a strumento e a timone perché orienti e diriga la nostra vita verso il regno dei cieli. Con le ubriachezze l’uomo perde anche il senso del tempo, delle cose, delle relazioni, perde lo stesso senso della vita, che annega ed uccide in un attimo. Perché si possa vigilare, stare attenti, porre ogni attenzione è necessario che si abbia sempre la più alta padronanza del proprio spirito, che deve essere sveglio, capace di discernimento, attento al da farsi ora e subito, sollecito nelle decisioni della salvezza. Con le ubriachezze l’uomo vive solamente una vita animale, vegetativa, non intellettiva, volitiva, libera; è uno schiavo ed un prigioniero del suo vizio, uno su cui non si può contare per un qualche aiuto né materiale e né spirituale. Ecco perché le ubriachezze sono così pericolose in ordine alla salvezza della nostra anima, perché per esse si perde anche il senso di avere un’anima da salvare ed un regno dei cieli cui tendere, ponendo ogni attenzione ed ogni cura.

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Negli affanni della vita invece si possiede sia la padronanza dello spirito come anche del cuore; l’uno e l’altro tuttavia sono stornati, dirottati, sequestrati per fini non propriamente loro; la terra li ha resi prigionieri di essa e tutto quanto essi fanno, lo fanno per la terra e per vivere e rimanere in essa. La terra è tutto per loro, e senza la terra niente esiste per loro. Negli affanni pertanto è difficile iniziare un vero ed autentico cammino spirituale, di crescita sapienziale, di immersione del cuore nelle cose che riguardano Dio; è difficile perché le cose del Cielo neanche esistono, sono come dimenticate, obliate, cancellate dalla propria esistenza. Come si fa allora a pensare al Cielo se il cielo non esiste nel cuore e nella mente? Come si fa a condurre l’uomo in alto, se l’alto non è visto neanche come un problema assai remoto? Ecco perché Gesù ci mette in guardia affinché non ci lasciamo prendere dagli affanni per le cose di questo mondo. Quando l’affanno prende un cuore ed una mente, essi non sono più liberi, sono prigionieri di esso per tutto il tempo in cui esso rimane nel cuore e nella mente. È veramente la fine per la spiritualità dell’uomo. Resta tuttavia qualche pulviscolo di religiosità, che sovente si manifesta e si esprime solo nel culto. Almeno così era un tempo. Oggi si sta perdendo anche questo e rimane solo quel culto strettamente necessario, richiesto da un ambiente e da un mondo che la vive come substrato culturale. Niente di più. Il cuore e la mente non sono nel culto. Nel culto c’è solo il corpo e la tradizione storica, che viene vissuta perché ancora è vissuta. Se domani qualcuno inizierà a non più viverla, la si abbandonerà senza gravi danni, anzi con un senso di liberazione e di sollievo. Finalmente liberi dal cielo e dai suoi residui… Questa la mentalità corrente, in buona parte. Oggi si vuole togliere ogni traccia di Dio dalla nostra terra. Nulla che fa ricordare Dio dovrà esistere.

LEGGIAMO IL TESTO DI Lc 21,34-36

State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

Come rimedio Gesù chiede la vigilanza e la preghiera. Con la vigilanza lo spirito è sempre in stato di attesa; è come la sentinella che teme la venuta del nemico per distruggere, rapinare, sconfiggere, rubare e la teme in ogni momento e per questo vigila, è all’erta, non si concede neanche un attimo di distrazione, perché un solo attimo di disattenzione potrebbe essere per lui di grande rovina e con lui per tutti gli altri. Questa è legge della storia, deve essere anche legge dello spirito. Sovente però ci si lascia cullare pensando che per lo spirito valgano altre leggi, o che la legge della vigilanza venga sospesa del tutto, tanto ci pensa il Signore a rimediare ogni nostra disattenzione. Questo è falso, assai falso e le disattenzioni hanno sempre delle conseguenze eterne.

Con la preghiera invece si ottiene da Dio quella forza e quella luce necessaria che ci permette non solo di stare vigili e attenti, ma anche di camminare spediti verso l’appuntamento con l’eternità. La preghiera libera il cuore dalle imperfezioni, dai vizi, dalle possibili stanchezze, da ogni tentazione che potrebbe ergersi sul nostro cammino al fine di farlo deviare. La preghiera prepara il cuore e lo spirito all’azione santa e dona all’anima la resistenza nella perseveranza. Come il cibo è per la vita del corpo così la preghiera è per la vita dell’anima; senza preghiera l’anima si indebolisce, deperisce, muore e l’uomo è preda e conquista della sua concupiscenza che è abbandono della via del regno per immettersi sui sentieri del male in cammino verso la morte eterna.

Poiché il regno dei cieli è il bene più caro, il tesoro nascosto, la perla preziosa, la gemma dall’inestimabile valore, l’uomo deve porre ogni attenzione a che non vada perduto a causa di una sua disattenzione, di una distrazione, di un momento di svago e di abbandono della legge della vigilanza. Come per le cose della terra, in certe situazioni di rischio elevato, un solo attimo di distrazione potrebbe mettere in pericolo la vita di una intera città – si pensi alla responsabilità di una sentinella in tempo di guerra, o posta in luoghi assai strategici –, così è anche per la vita dello spirito: una sola tentazione che bussa alla nostra porta e alla quale noi diamo immediato ascolto, potrebbe essere per noi causa di rovina eterna. Noi non vigiliamo per un motivo assai semplice: non crediamo nella verità della Parola di Gesù che afferma la reale possibilità di andare a finire nella dannazione eterna, di perdere per sempre la vita futura, quella gioia che è stare con Dio nella sua dimora. Finché non si riprenderà la via della fede, finché ognuno di noi pensa che la Parola di Gesù è detta ma mai si compirà per noi, allora a che serve la vigilanza? Vigilare ha senso se il pericolo è reale, vero, imminente; se non c’è pericolo, se la vita è solo una sceneggiata, se l’inferno è vuoto e tutti sono salvi nel cielo, allora a che pro vigilare, stare attenti? Il problema vero che dobbiamo porre al nostro spirito è: la Parola di Gesù è vera, oppure è una parola d’uomo; essa dice realmente la nostra realtà futura di perdizione eterna, oppure questa non esiste, non esisterà, non può esistere? La Parola di Gesù è parola di Dio, quindi garantita dalla sua veridicità, oppure è parola di circostanza? Ma che senso avrebbe una parola di circostanza, se tutta la sua vita è orientata e finalizzata a che nessun uomo si perda? Sarebbe veramente il controsenso assoluto. Gesù dona la sua vita perché l’uomo, accogliendo la sua verità e la sua grazia, non vada a finire nella perdizione, e poi si dice non vera la parola che ci invita e ci esorta a stare in guardia, a vigilare per non perdere la vita eterna. È veramente una strana logica quella che muove il nostro spirito. La logica è strana, perché frutto di una mente corrotta dal peccato, o non governata dal pensiero di Dio. Quando la mente è governata dal pensiero di Dio essa sa che la Parola di Gesù è vera, tremendamente vera, perché l’uomo possa minimamente pensare ad una parola di circostanza. Madre di Dio, aiutaci. Facci di fede vera.

Fonte@MonsDiBruno

Nota: Questo commento al Vangelo è gratuito pertanto l’autore non autorizza un fine diverso dalla gratuità.