Mons. Costantino Di Bruno – Commento al Vangelo del 23 Ottobre 2021

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Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.

Al tempo di Gesù era facile assistere a qualche sommossa contro la potenza occupante dei Romani. C’era sempre qualche esaltato che incitava alle armi e alla rivolta contro di essi.  Queste sommosse finivano tutte nel sangue. I soldati di Roma non tolleravano nessuna rivolta armata contro l’Impero. La loro mano era assai pesante. Nessuna tolleranza. In occasione di una festa, mentre si offrivano i sacrifici al tempio, ci fu una rivolta finita, come tutte le altre, nel sangue. Questa rivolta era stata orchestrata da alcuni della Galilea. Questo episodio viene riferito a Gesù. Si attendeva da Lui una parola di giustificazione dell’operato dei Galilei e un’altra di biasimo contro “la prepotenza e l’arroganza romana”.

Gesù non dona una risposta politica. Non spetta a Lui dare di queste risposte. Ne dona invece una morale, etica, di verità secondo Dio. Quei Galilei uccisi da Pilato a motivo della loro stoltezza ed insipienza – evangelicamente parlando ogni rivolta contro chi esercita il potere è atto di stoltezza, insipienza, atto di non verità e di non fede – non sono più peccatori degli altri Galilei per avere subito tale sorte. Il peccato non si misura dall’esito cruento del risultato dei gesti posti in essere. Il peccato è trasgressione della Legge di Dio e la Legge può essere trasgredita anche nel segreto, senza che nessuno veda. Ma non perché nessuno ha visto e le conseguenze non siano immediate si è meno peccatori.

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Il Qoelet insegna che la sentenza dovuta ai nostri peccati non sempre è immediata.  È questa una verità che dobbiamo tenere fissa nel cuore: i frutti visibili del peccato degli altri non ci abilitano a dichiarare noi innocenti, o gli altri più peccatori di noi solo perché il nostro peccato per il momento è senza frutti eclatanti. Il peccato genera sempre la morte: o morte fisica o morte morale, o fisica e morale insieme. A volte la morte è imminente, altre volte è assai lenta. Il frutto però segue sempre.  Il peccato è peccato indipendentemente dai suoi frutti evidenti. Il peccato produce sempre un frutto di morte. La morte è il salario che ognuno deve pagare per il suo peccato. Per il peccato c’è un solo rimedio: la conversione, il ritorno nella Legge del Signore. La vita è nella conversione. La conversione è alla Legge di Dio. Nella Legge di Dio si deve sempre vivere, se vogliamo evitare di pagare il nostro salario al peccato con la morte nostra e degli altri. È verità universale ed eterna.

Ci sono anche casi provocati indirettamente dall’uomo: da ciò che lui fa, come lo fa, perché lo fa. Tante catastrofi che noi diciamo naturali hanno sempre una responsabilità indiretta e sovente anche diretta dell’uomo, a motivo della stoltezza, o poca sapienza con la quale fa le cose. Dietro ogni catastrofe naturale quasi sempre c’è un atto di insipienza, di poca saggezza dell’uomo. Questo atto può essere personale o di altri. Nell’agire ognuno è sempre obbligato a mettere la più grande saggezza. Ma anche la saggezza viene dal Signore, viene dalla nostra preghiera rivolta a Lui perché ci dia la sapienza di governare bene la nostra vita. A Gerusalemme crolla la torre di Siloe e diciotto persone incorrono nella morte. Cosa pensava la mentalità comune del tempo? Poiché la torre è caduta sopra di loro, quelle persone sono colpevoli. Sono nel peccato. Sono nella colpa. Per questo la torre è caduta su di esse, uccidendole.

Viene ribadita la stessa verità di prima. La salvezza non è nel nascondimento del peccato e neanche nel ritenere gli altri più peccatori di noi. Che uno beva un litro di veleno di cobra o soltanto quanto ne contiene un solo morso è la stessa cosa: la morte. Come ci si sottrae alla morte? Con la conversione. La conversione è nella Legge del Signore. Senza la conversione periremo tutti allo stesso modo. Nessuno si faccia illusioni. Nessuno cerchi vie alternative a questa verità. Non ne esistono. Nessuno pensi di poter aggirare la via della conversione. Chi vuole vivere deve convertirsi. Dove non c’è conversione c’è solo morte: fisica, spirituale, economica, politica, finanziaria, sociale, civile, religiosa.

LEGGIAMO IL TESTO DI Lc 13,1-9

In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Ora Gesù ci insegna come possiamo sottrarci al salario della morte e chi può e deve aiutarci perché possiamo gustare i frutti della vita. Dio è il Creatore, il Signore. Il Signore e il Creatore vuole i frutti dalla sua creatura. I frutti sono quelli secondo lo Spirito, non secondo la carne. I frutti sono quello della più stretta osservanza della Legge dell’Alleanza.

Il padrone si lamenta con il vignaiolo. Da tre anni viene a cercare frutti, ma non ne trova. La sua pazienza si è come esaurita. Del resto c’è anche una giustizia da osservare. Perché questo albero di fico deve sfruttare inutilmente il terreno? Se non è buono, lo si tagli e al suo posto se ne metta un altro. Quello del padrone è un ragionamento saggio, intelligente, sensato. È anche un ragionamento di giustizia economica. Un terreno vale se lo si sfrutta bene. Sfruttato male, il lavoro costa di più del ricavato e si va in fallimento. Tutte le ragioni del padrone sono perché l’albero di fico venga tagliato. Sarebbe irrazionale lasciare che sfrutti il terreno inutilmente.  Subentra la mediazione del vignaiolo. Quest’uomo sa che l’albero di fico non produce. Sa che è giusto che venga tagliato. Sa che è cosa buona che se ne pianti un altro. Sa tutto questo. Ma tutto questo è una buona ragione per tagliare l’albero di fico?  No. Tutto questo non è una buona ragione per tagliarlo. Perché? Perché il vignaiolo vuole fare qualcosa in favore dell’albero. Cosa vuole fare? Vuole curare con più intensità il fico. Gli vuole zappare attorno. Gli vuole mettere il concime. Lo vuole curare con molta più attenzione di come ha fatto finora.

Il tempo che il vignaiolo si prende però non è eterno, lunghissimo. È appena un anno. Quanto è necessario per prestare le sue giuste e doverose cure. Il Padrone deve essere esigente. Deve vigilare perché ogni giustizia sia adempiuta. Il mediatore invece deve essere misericordioso, pietoso, ricco di carità, compassione. Il mediatore è però pietoso, compassionevole non lasciando l’albero di fico così come esso è. È caritatevole verso il fico se gli presta tutte le cure dovute e anche più di quelle dovute. Se dopo aver prestato le dovute e necessarie cure, l’albero rimane insensibile, allora è cosa giusta che venga tagliato.

Come si può constatare qui si entra in una regola pastorale che richiede ogni nostra attenzione. Non si può mai parlare di misericordia nei confronti degli altri in un modo solo passivo, chiedendo al Signore che conceda altro tempo per la loro conversione o ravvedimento, perché ritornino sulla retta via, abbandonando le opere del male, del peccato, del vizio. La misericordia non è nella sola intercessione. Questa di sicuro occorre. Ma perché sia vera intercessione è necessario che venga accompagnata dal nostro impegno a fare tutto ciò che deve essere fatto affinché l’altro possa produrre frutti di vera vita spirituale. Se manca il nostro impegno, il nostro lavoro, la nostra opera, la nostra quotidiana sollecitudine mai si potrà parlare di vera misericordia. La Madre di Dio ci ottenga il dono della vera misericordia verso ogni uomo.

Fonte@MonsDiBruno

Nota: Questo commento al Vangelo è gratuito pertanto l’autore non autorizza un fine diverso dalla gratuità.