Il commento alle letture del 20 Novembre 2019 a cura di Mons. Costantino Di Bruno, Sacerdote Diocesano dell’Arcidiocesi di Catanzaro–Squillace (CZ).
Fatele fruttare fino al mio ritorno
2 Mac 7,1.20-31; Sal 16; Lc 19,11-28
Quando il Signore ha creato l’uomo, gli ha assegnato i frutti che avrebbe dovuto produrre con la sua vita. Dio lo ha fatto signore non al suo pasto, ma signore dal Signore a servizio del Signore per fare più bella e armoniosa la sua creazione.
Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra» (Gen 1,26-28).
Assieme a questo comando, che nel Secondo Capitolo viene specificato come coltivazione e custodia del giardino, ne esiste un secondo. Se l’uomo vuole essere signore di vita deve obbedire al suo divieto di non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male che è nel centro del giardino. Altrimenti introdurrebbe nella sua natura e in tutta la creazione il germe della morte.
Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire» (Gen 2,15-17).
La parabola di Gesù riprende in modo chiaro ed esplicito il fine della creazione dell’uomo. Dio ha creato l’uomo con una missione chiara. Questa missione va vissuta pienamente. Ogni dono di Dio va messo a frutto. La vita dell’intera umanità e anche della terra e di quanto vi è in essa dipende dallo svolgimento ben ordinato di quanto ci è stato comandato. Chi non obbedisce non potrà abitare domani nella casa di Dio.
Mentre essi stavano ad ascoltare queste cose, disse ancora una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro. Disse dunque: «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d’oro, dicendo: “Fatele fruttare fino al mio ritorno”. Ma i suoi cittadini lo odiavano e mandarono dietro di lui una delegazione a dire: “Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi”. Dopo aver ricevuto il titolo di re, egli ritornò e fece chiamare quei servi a cui aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate dieci”. Gli disse: “Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città”. Poi si presentò il secondo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate cinque”.
Anche a questo disse: “Tu pure sarai a capo di cinque città”. Venne poi anche un altro e disse: “Signore, ecco la tua moneta d’oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato”. Gli rispose: “Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi”. Disse poi ai presenti: “Toglietegli la moneta d’oro e datela a colui che ne ha dieci”. Gli risposero: “Signore, ne ha già dieci!”. “Io vi dico: A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”».
Oggi si è persa la dimensione trascendente, soprannaturale, di dipendenza e di obbedienza dell’uomo dal suo Creatore, Signore, Dio, Redentore, Salvatore, Datore di ogni dono. Questa dimensione va posta nel cuore di tutti. Senza questa dimensione, la vita dell’uomo diviene effimera, chiusa nel proprio egoismo, priva dell’eternità, carente della vera speranza. È una vita incarcerata in un sotterraneo dal quale è impossibile vedere la luce. Purtroppo più passano i giorni e più la luce soprannaturale si spegne o ci si allontana da essa. In perdite antropologiche i danni sono altamente dannosi.
Madre di Dio, Angeli, Santi, fate che ogni cristiano si riappropri del fine secondo verità.