Mons. Costantino Di Bruno – Commento al Vangelo del 13 Settembre 2021

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«Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito.

Gesù è sempre in stato di missione. Si sposta da un luogo ad un altro, anche se quasi sempre nelle vicinanze del lago di Genèsaret. In quella regione vive un  centurione. Costui ha un servo che è ammalato e che sta per morire. Si tratta di una malattia molto grave. È infatti una malattia che conduce a sicura morte. Questo servo ammalato e che sta per morire è molto caro al centurione. Un amore grande, puro, lega il centurione a questo servo. Cosa produce questo amore grande, immenso, sconfinato, puro? Il centurione sente parlare di Gesù. Lo sa potente in opere, capace di guarire da qualsiasi malattia o infermità. Non va lui personalmente da Gesù. Gli manda alcuni anziani dei Giudei perché lo preghino di venire e di salvare il suo servo. Gesù può. Basta che accolga l’invito e la guarigione è sicura. Per questo si serve di alcune persone influenti, capaci di esercitare su Gesù una certa pressione morale. Egli è uomo del mondo e pensa secondo il mondo. Non sa che Gesù non si lascia influenzare da nessuno. Chi ha potere su Gesù è solo il Padre suo che è nei cieli. Gesù è sempre l’uomo del Padre e sempre dal Padre. La sua opera è una perenne obbedienza al Padre suo.

Gesù è Dio ed è misericordioso come è misericordioso il Padre suo celeste. Egli il bene lo fa a tutti, senza alcuna distinzione. Il suo bene è sempre mosso dalla più pura misericordia e dalla più libera compassione. Dio in Cristo Gesù opera per pietà. La pietà è la legge del suo cuore. Egli ascolta sempre chi lo invoca, anche senza alcun merito dinanzi ai suoi occhi. La sua misericordia è ben oltre i nostri limiti umani. Gesù, mosso dalla sua compassione, misericordia e pietà, si incammina per andare con loro nella casa del centurione. Vi era quasi giunto, quando il centurione manda alcuni amici a dirgli: “Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto”. Appare la grande umiltà di questo soldato romano. Egli vede Gesù così distante da lui nella sua santità e onnipotenza da non sentirsi degno neanche di farlo entrare in casa sua. L’umiltà di quest’uomo è sincera, vera, grande.

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È talmente umile quest’uomo da non ritenersi neanche lui degno di rivolgersi personalmente a Cristo Gesù. È a causa della sua umiltà che ha mandato altri. Prima gli anziani dei Giudei e ora alcuni suoi amici. Prima ha manifestato la sua umiltà. Ora rivela a Cristo Gesù qual è la sua fede. È sufficiente che Gesù dica una parola e il suo servo sarà guarito. A Gesù basta la sola parola. Non è necessaria la sua presenza. Ecco come spiega questa sua fede il centurione. Lui è un soldato. La vita dei soldati si fonda sulla parola, non sulla presenza. Lui è un soldato che è comandato, ma che può anche comandare. Essendo un centurione ha dei soldati sotto di lui e quando dice ad uno: “Va’!”, egli va. Quando invece dice ad un altro: “Vieni!”, egli viene. Se poi dice al suo servo: “Fa’ questo!”, il servo lo fa. L’obbedienza si fonda sul comando, sulla parola proferita, sull’ordine impartito. La presenza non serve al comando e non serve all’obbedienza. Al comando e all’obbedienza serve la sola parola. Gesù è visto dal centurione come un Comandante supremo. Tutto è sotto i suoi ordini. Se è un Comandante supremo, gli è sufficiente la sola parola. È questa la legge del comando: la parola. Gesù può comandare ad ogni cosa esistente nella creazione e questa non può che obbedire.

Gesù ammira l’umiltà di quest’uomo e ne loda la fede. Dona alla folla un grande insegnamento: “Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!”. Queste parole si riferiscono ad Israele nel corso di tutta la sua storia, oppure ad Israele di questo tempo? Sappiamo che i segni operati da Mosè erano tutti fondati sul comando. Dio gli suggeriva l’ordine da dare, Mosè lo impartiva e la creazione obbediva al suo comando. Di sicuro Gesù parla del suo tempo. Un pagano aveva compreso tutto di Gesù senza averlo mai visto. Quanti stavano vicino a Lui, quanti lo seguivano, quanti godevano dei suoi miracoli ancora non erano giunti a questa fede. Questa fede e questa umiltà del centurione ora è divenuta la preghiera di quanti stanno per accostarsi a ricevere l’Eucaristia: “Signore, io non sono degno che tu venga nella mia casa. Di’ soltanto una parola e l’anima mia sarà guarita”. Fino al giorno della Parusia sarà ricordato quest’uomo, la sua umiltà, la sua grandissima fede. Gesù dice la parola, anzi neanche è detto che la dice, e il servo guarisce. Gesù neanche deve proferire la Parola. A Lui basta il volere solamente pensato. Tutto ciò che Gesù vuole avviene all’istante. È questo il suo comando sulla creazione.

LEGGIAMO IL TESTO DI Lc 7,1-10

Quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, Gesù entrò in Cafàrnao. Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano –, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga». Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa». All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.

Il bene di Gesù ha la sua origine nella misericordia e nella compassione, nella sua pietà e nella sua infinita carità verso gli uomini, che sono suoi fratelli in virtù della legge dell’Incarnazione. Nell’amore non ci sono meriti, né la carità potrà mai essere data per meriti, altrimenti non sarebbe carità, bensì giustizia. Chi prega non va da Gesù fondando la sua richiesta su dei meriti acquisiti. La preghiera si fonda esclusivamente sulla legge della carità e della compassione, della misericordia e della pietà di Gesù per noi, suoi fratelli. Chi prega e chiede pietà al suo Dio, anche lui da parte sua deve essere pietoso, compassionevole, ricco di perdono e di pietà verso i suoi simili. Uno non può invocare la misericordia per sé e chiudere il suo cuore alla misericordia verso i suoi fratelli. Questa sarebbe vera empietà. Chi fa questo è uno spietato di cuore e il Signore mai potrà ascoltare la sua preghiera. Non l’ascolta perché lui si è posto fuori della legge della misericordia, della pietà, della compassione.

La fede, quella vera, conosce una sola legge: quella dell’obbedienza al comando ricevuto. La fede è ascolto della parola proferita. Chi ascolta la parola ha fede, vive di fede. Chi non ascolta la parola mai potrà dirsi o essere detto un uomo di fede. La fede per il discepolo di Gesù non è un insieme di verità cui prestare il suo assenso della mente e del cuore. La fede per il discepolo di Gesù passa dalla sua volontà. La fede non passa né dalla mente, né dal cuore, né dai pensieri, né dai sentimenti. La fede ha una sola via obbligata da percorrere: quella della volontà. Si ascolta, si obbedisce. Si ascolta, si mette in pratica. Si ascolta, si vive quanto si è ascoltato. Si ascolta, si realizza, si dona concretezza a quanto ascoltato. Oggi invece si tende a far passare ogni cosa attraverso la mente, il cuore, i sentimenti, i pensieri, il gusto, il desiderio. Questa via è deleteria per la fede, perché il nostro cuore è più potente di una macina da mulino e stritola tutto quanto viene posto in esso. La mente è la più grande nostra nemica. Essa riesce a sovvertire la Parola del Signore, a dare significati diversi, a modificarla, ad eluderla, a cambiarla, fino a farla divenire parola di uomini e non più di Dio. La volontà invece è la sola che lascia intatta la Parola di Dio. Essa l’accoglie e la vive così come è giunta ai suoi orecchi. Questo non significa che non possiamo e non dobbiamo comprendere la Parola del Signore. La comprendiamo mentre la viviamo, la osserviamo, la facciamo nostra vita e nostro sangue. La Madre di Gesù ci venga in aiuto.

Fonte@MonsDiBruno

Nota: Questo commento al Vangelo è gratuito pertanto l’autore non autorizza un fine diverso dalla gratuità.