mons. Antonio Suetta – l’Apocalisse: la donna e la città (capp. 17 – 19, 10)

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I DUE GRANDI SEGNI

Con il settenario delle coppe (o catini) sembrerebbe essersi compiuto il grande racconto della storia umana nella prospettiva della redenzione operata da Cristo e così il libro dell’Apocalisse potrebbe ragionevolmente concludersi con il capitolo XVI.

Ci sono invece ancora 6 capitoli che possiamo in qualche modo considerare “esplicativi” soprattutto attraverso due segni: la donna e la città. Questi segni sono ancora illuminati da una rinnovata manifestazione della vittoria definitiva di Cristo.

Le immagini proposte per questi due segni non sono affatto nuove o inedite appartenendo allo stile della stessa Apocalisse e soprattutto alla grande tradizione profetica dell’Antico Testamento;  si  tratta della donna e della città.

La donna è figura che abbiamo visto nel capitolo XII: “Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito. Essa partorì un figlio maschio,  destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro,  e suo figlio fu rapito  verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni” (vv. 1 – 6).

Come abbiamo già visto la donna rappresenta l’umanità, uscita dalle mani e dal cuore di Dio per un meraviglioso progetto di bene, esposto al pericolo della tentazione e alla libera determinazione della persona umana.

Per questa ragione nei capitoli conclusivi del libro dell’Apocalisse la donna viene presentata in una duplice possibilità e condizione: come prostituta o come sposa dell’Agnello.

Tale immagine si coniuga e si completa con quella della città che analogamente può essere riconosciuta o come Babilonia oppure come la nuova e santa Gerusalemme.

L’immagine della donna attinge alla ricca tradizione profetica. Possiamo leggere al riguardo  il profeta Ezechiele:

Passai vicino a te, ti vidi mentre ti dibattevi nel sangue e ti dissi: Vivi nel tuo sangue e cresci come l’erba del campo. Crescesti, ti facesti grande e giungesti al fiore della giovinezza. Il tuo petto  divenne fiorente ed eri giunta ormai alla pubertà, ma eri nuda e scoperta.

Passai  vicino a te e ti vidi. Ecco: la tua età era l’età dell’amore. Io stesi  il lembo del mio mantello  su di te e coprii la tua nudità. Ti feci un giuramento e strinsi alleanza con te – oracolo del Signore Dio – e divenisti mia. Ti lavai con acqua, ti ripulii del sangue e ti unsi con olio. Ti vestii di ricami, ti calzai di pelle di tasso, ti cinsi il capo di bisso  e ti ricoprii di stoffa preziosa. Ti adornai di gioielli.  Ti misi braccialetti ai polsi e una collana al collo; misi al tuo naso un anello, orecchini agli orecchi e una splendida corona sul tuo capo. Così fosti adorna d’oro e d’argento.  Le tue vesti erano di  bisso, di stoffa preziosa e ricami. Fior di farina e miele e olio furono il tuo cibo. Divenisti sempre  più bella e giungesti fino ad essere regina. La tua fama si diffuse fra le genti. La tua bellezza era perfetta.

Ti avevo reso uno splendore. Oracolo del Signore Dio.

Tu però, infatuata per la tua bellezza e approfittando della tua fama, ti sei prostituita, concedendo i tuoi favori a ogni passante. Prendesti i tuoi abiti per adornare a vari colori le alture su cui ti prostituivi. Con i tuoi splendidi gioielli d’oro e d’argento, che io ti avevo dato, facesti immagini d’uomo, con cui ti sei prostituita. Tu, inoltre, le adornasti con le tue vesti ricamate. A quelle immagini offristi il mio olio e i miei profumi. Ponesti davanti ad esse come offerta di soave odore il pane che io ti avevo dato, il fior di farina, l’olio e il miele di cui ti  nutrivo. Oracolo  del  Signore Dio.

Prendesti i figli e le figlie che mi avevi generato e li offristi in cibo. Erano forse poca cosa le tue prostituzioni? Immolasti i miei figli e li offristi a loro, facendoli passare per il fuoco. Fra tutti i tuoi abomini e le tue prostituzioni non ti ricordasti del tempo della tua giovinezza, quando eri nuda e ti dibattevi nel sangue! Dopo tutta la tua perversione – guai, guai a te! Oracolo del  Signore Dio – ti  sei fabbricata un giaciglio e costruita un’altura in ogni piazza. A ogni crocicchio ti sei fatta un’altura, disonorando la tua bellezza, offrendo il tuo corpo a ogni passante e moltiplicando le tue prostituzioni. Hai concesso i tuoi favori ai figli d’Egitto, tuoi corpulenti vicini, e hai moltiplicato le tue infedeltà per irritarmi. A questo punto io ho steso la mano su di te. Ho ridotto il tuo cibo e ti ho abbandonato in potere delle tue nemiche, le figlie dei Filistei, che erano disgustate della  tua condotta sfrontata.

Non ancora sazia, hai concesso i tuoi favori agli Assiri. Non ancora sazia, hai moltiplicato le tue infedeltà nel paese dei mercanti, in Caldea, e ancora non ti è bastato. Com’è stato abietto il tuo cuore – oracolo del Signore Dio – facendo  tutte  queste  azioni  degne  di  una  spudorata  sgualdrina! Quando ti costruivi un giaciglio a ogni crocevia e ti facevi un’altura in ogni piazza, tu non eri come una prostituta in cerca di guadagno, ma come un’adultera che, invece del marito, accoglie gli stranieri! A ogni prostituta si dà un compenso, ma tu hai dato il compenso a tutti i tuoi amanti e hai distribuito loro doni perché da ogni parte venissero a  te,  per le tue prostituzioni. Tu hai fatto il contrario delle altre donne, nelle tue prostituzioni: nessuno è corso dietro a te, mentre tu hai distribuito doni e non ne hai ricevuti, tanto eri pervertita.

Perciò, o prostituta, ascolta la parola del Signore. Così dice il Signore Dio: Per le tue ricchezze sperperate, per la tua nudità scoperta nelle tue prostituzioni con i tuoi amanti e con tutti i tuoi idoli abominevoli, per il sangue dei tuoi figli che hai offerto a loro, ecco, io radunerò da ogni parte tutti    i tuoi amanti con i quali sei stata compiacente, coloro che hai amato insieme con coloro che hai odiato; li radunerò contro di te e ti metterò completamente nuda davanti a loro perché essi  ti  vedano tutta.

Ti infliggerò la condanna delle donne che commettono adulterio e spargono sangue, e riverserò su  di te furore e gelosia. Ti abbandonerò nelle loro mani e distruggeranno i tuoi giacigli, demoliranno le tue alture. Ti spoglieranno delle tue vesti e ti toglieranno i tuoi splendidi ornamenti:  ti  lasceranno scoperta e nuda. Poi ecciteranno contro di te la folla, ti lapideranno e ti trafiggeranno con la spada. Incendieranno le tue case e sarà eseguita la sentenza contro di te sotto gli occhi di numerose donne. Ti farò smettere di prostituirti e non distribuirai più doni” (16, 6 – 41).

La riflessione sulla figura della donna sviluppa maggiormente l’aspetto personale della vita di fede    e dell’adesione a Cristo da parte del credente, mentre il riferimento alla città evidenzia l’aspetto comunitario e storico della vicenda della redenzione.

Possiamo ora accostare anche un brano di Isaia, al capitolo 21, dove si parla della caduta di Babilonia:

“Oracolo sul deserto del mare. Come i turbini che si scatenano nel Negheb, così egli viene dal deserto, da una terra orribile. Una visione tremenda mi fu mostrata: il saccheggiatore che saccheggia, il distruttore che distrugge. Salite, o Elamiti, assediate, o Medi! Io faccio cessare ogni gemito. Per questo i miei reni sono nello spasimo, mi hanno colto dolori come di una partoriente; sono troppo sconvolto per udire, troppo sbigottito per vedere. Smarrito è il mio cuore, la costernazione mi invade; il tramonto tanto desiderato diventa il mio terrore. Si prepara la tavola, si stende la tovaglia, si mangia, si beve. Alzatevi, o capi, ungete gli scudi, poiché così mi ha detto il Signore: «Va’, metti una sentinella che annunci quanto vede. E se vedrà cavalleria, coppie di cavalieri, uomini che cavalcano asini, uomini che cavalcano cammelli, allora osservi attentamente, con grande attenzione». La vedetta ha gridato: «Al posto di osservazione, Signore, io sto sempre lungo il giorno, e nel mio osservatorio sto in piedi, tutte le notti. Ecco, qui arriva una schiera di cavalieri, coppie di cavalieri. Essi esclamano e dicono: «È caduta, è caduta Babilonia! Tutte le statue dei suoi dèi sono a terra, in frantumi»». O popolo mio, calpestato e trebbiato come su un’aia quanto ho udito dal Signore degli eserciti, Dio d’Israele, a voi l’ho annunciato” (vv. 1 – 10).

Il duplice riferimento alla donna e alla città esplicita le conseguenze dell’opera della redenzione pienamente manifestata nel settenario dei catini, esse sono essenzialmente il giudizio e la salvezza.  Il tema dominante della grande rivelazione è nel segno della speranza per l’umanità e rivela un esito di vittoria, che passa attraverso il giudizio. Pertanto la descrizione e la condanna sia della prostituta che di Babilonia non sono il punto di arrivo dell’annuncio, rappresentato piuttosto dal fatto che alla prostituta si contrapponga la “sposa dell’Agnello” e alla corrotta Babilonia la “nuova  Gerusalemme”. Proprio il passaggio da prostituta a sposa e da Babilonia a città di Dio manifesta la definitiva vittoria di Cristo offerta all’umanità come salvezza e come pieno compimento del  progetto originario.

Occorre non far confusione tra la prostituta e la bestia, anche se “esse sono unite tra di loro in una intimità oscena e mostruosa” (Corsini); possiamo far riferimento a Gen 3, 14 e ss. dove, dopo il racconto del peccato originale, soltanto il serpente viene maledetto da Dio, mentre per l’umanità (la discendenza) è annunciato un superamento nella prospettiva della vittoria.

La condanna definitiva viene invece ancora una volta affermata per colui – il dragone -, che, ribelle   a Dio, seduce e corrompe l’umanità. L’espressione: “la bestia… era, non è e sta per salire dall’abisso e va verso la perdizione” (17, 8) allude alla condizione originaria di Satana come  ”angelo di luce”, alla sua ribellione e alla successiva cacciata dal cielo nell’abisso (cfr. capp.  9 e  12), alla sua breve risalita per la persecuzione, che ha come vittima lo stesso Cristo e in seguito alla quale Satana viene definitivamente sconfitto e buttato nello stagno di fuoco e zolfo (Ap 20, 10).

Satana definitivamente sconfitto viene descritto come la “bestia che era, non è e si ripresenterà” (v. 8), oppure, più avanti come “bestia che era, non è ed è l’ottavo re” (v. 11). “Era” si riferisce alla creazione di Dio come angelo di luce, “non è” riguarda la situazione  attuale di Satana decaduto  e per sempre dannato, “si ripresenterà” oppure “è l’ottavo re” si riferisce allo scontro  finale  e decisivo a cui allude tutto il racconto dell’Apocalisse.

Pur utilizzando due immagini, la donna e la città, il riferimento è identico: si tratta del cammino dell’umanità, di cui, all’inizio del XVII capitolo, viene mostrato il “mistero”, termine che sta scritto, come nome, sulla fronte della prostituta.

La scena viene aperta dall’intervento di uno dei sette angeli, che hanno versato i catini,  così come  un altro successivamente mostrerà la sposa dell’Agnello. Questi due angeli sono il primo e l’ultimo di una serie di sei, suddivisa in due gruppi di tre: il primo ha a che fare con la caduta di Babilonia e  il secondo con la discesa del Logos e con gli avvenimenti connessi (la battaglia di Harmaghedon, il legamento di Satana per mille anni e la discesa della nuova Gerusalemme). Tutto ciò indica come   gli ultimi sei capitoli dell’Apocalisse siano l’esplicitazione dell’attività di versamento dei sette  catini.

L’angelo che mostra la scena a Giovanni lo “conduce in Spirito nel deserto”, vale a dire che la visione costituisce una profezia; in essa si riconosce la bestia con le caratteristiche del drago rosso e di quella fuoriuscita dal mare (capp. 12 e 13), e si riconosce la storia dell’umanità corrotta dal peccato. Gli interpreti delle diverse epoche si sono sbizzarriti nella lettura dei simboli specialmente andando ad individuare nella prostituta/Babilonia l’impero romano e la città di Roma; e più tardi (epoca della Riforma protestante) la Roma papale, indotti da un riferimento che sembra molto chiaro: la donna è adagiata su “sette monti” (o colli), come pure il richiamo ai sette re; in realtà sarebbe riduttivo considerare questa interpretazione come unica in quanto è da ricondurre piuttosto ad una visione della storia umana, che si ripete e si esplicita in contesti diversi e che, soprattutto, cammina verso il compimento indicato dal testo sacro. Ippolito di Roma interpreta i sette monti come i sette demoni, che presiedono ciascuno al governo dei sette millenni che compongono la  storia (settimana cosmica); in tale prospettiva egli spiegava le parole “cinque sono caduti, uno è, e l’altro non è ancora venuto”. I cinque si riferirebbero al tempo prima di Cristo, quello che “è” farebbe riferimento al millennio in cui è venuto Cristo, e l’ultimo al millennio, destinato a durare poco, dell’instaurazione del regno di Cristo. Nella prossima lectio vedremo il famoso “mille e non più mille”. Da notare come la collocazione della venuta di Cristo nel sesto millennio corrisponda  alla logica del sesto punto di ognuno dei 3 settenari, che abbiamo visto: è sempre il più importante, che costituisce un punto di svolta.

Il monte indica semplicemente il desiderio e l’orgoglio umano di scalare il potere divino e i numeri utilizzati giocano sempre con i riferimenti alla pienezza e alla definizione/limitazione del tempo dell’operatività del male.

È molto significativo anche il passaggio dei versetti 16 e 17 del cap. 17: in essi si tratta del fatto che  i 10 re “prenderanno in odio la prostituta… Dio infatti ha messo loro in cuore di attuare la sua volontà”. Il passaggio costituisce una chiara affermazione di come Dio si serva anche di volontà inique o inconsapevoli per realizzare il suo disegno; possiamo citare Isaia: “Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: «Io l’ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso. Io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca. Io sono il Signore e non c’è alcun altro, fuori di me non c’è dio; ti renderò pronto all’azione, anche se tu non  mi conosci, perché sappiano dall’oriente e dall’occidente che non c’è nulla fuori di me (45, 1. 4-6). Citiamo anche la lettera ai Romani: “noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno” (8, 28).

La scena descritta in questi capitoli è in continuazione e sviluppo di quanto narrato nei capitoli 12 e 13 identico è l’ambiente, cioè il deserto, ma antitetico è il rapporto tra le due figure. Nel  primo caso la donna teme e scappa dal dragone, mentre ora ha stabilito con lui un rapporto di intesa e addirittura di intimità (prostituzione).

Si indica dunque il cambiamento di un atteggiamento spirituale: la donna non teme più l’antico avversario, ma ha preso con lui tanta confidenza da credere di poterlo assoggettare ai suoi voleri ed usarlo per i suoi progetti.

Giovanni probabilmente vede in tutto ciò la perversione del giudaismo come mondanizzazione dell’attesa messianica, riconducibile al costante richiamo e condanna dell’idolatria di tutta la tradizione profetica.

L’idolatria di cui tratta l’Apocalisse ha un carattere preciso e concreto; essa non significa culto erroneo, cioè tolto al vero Dio per attribuirlo ad altri dei falsi, ma piuttosto si esprime  nell’adorazione di Satana nel suo tentativo blasfemo di farsi passare come divinità autentica e assoluta.

Come già abbiamo visto, la prima incarnazione di Satana è la bestia che viene dal mare, cioè il  potere politico (cfr. 13, 1 e ss.); la prima forma di idolatria è l’adorazione del potere politico, il cedimento davanti alla sue pretese di mostrarsi come valore assoluto, divino. Per questa ragione, sempre nel capitolo 13, la seconda bestia che viene dalla terra  (potere  spirituale/religioso,  ideologia) vorrebbe convincere ad adorare la bestia che viene dal mare, come si comporta anche il “falso profeta”.

Anche il riferimento alla città (Babilonia e Gerusalemme) evoca l’idea di una radicale perversione, indicata nell’utilizzo del termine “mistero” designato come il nome della prostituta. Secondo l’uso biblico e in particolare dell’Apocalisse (1, 20 e 10, 7) tale termine non indica  semplicemente qualcosa di oscuro ed enigmatico, ma direttamente si riferisce al piano divino della salvezza.

Dunque se la prostituta si chiama “mistero” ciò significa che anche nel momento in cui è giudicata e condannata essa è parte integrante del piano divino.

Possiamo tornare alla citazione di Rm 8: “noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno” (v. 28) e al commento di Sant’Agostino: “Etiam Peccata” anche il peccato! “San Paolo assicura che per i giusti omnia cooperantur in bonum; e Sant’Agostino in un impeto di sbalorditiva acutezza aggiunge, per coloro che si affidano contriti a Dio, etiam peccata. È infatti la infinita misericordia del Signore china ad ascoltare i gemiti del pentimento, le implorazioni, le preghiere: solo essa lenisce, soccorre,  perdona” (S. Paolo VI, Omelia 20 marzo 1966).

Predisponendoci all’adorazione dell’unico e vero Signore presente nel santo sacramento dell’altare, volgiamo implorare il dono dello Spirito di sapienza affinché ci conduca a leggere adeguatamente la storia e a decifrarne lo sviluppo verso il compimento del piano di Dio collocandoci dalla parte della verità: “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Gv 18, 37), ha detto Gesù a Pilato.

Ormai vicini al compimento del tempo quaresimale e prossimi alla celebrazione della Pasqua di risurrezione,  vogliamo anche rinnovare la fiducia  che il Signore agisce anche in una vita segnata  dal peccato così come non è estraneo al cammino dell’umanità, non in ragione di  una  sua  debolezza, ma per la sua fedeltà all’alleanza. Questa gioiosa e responsabile consapevolezza è ben richiamata dalla seconda lettera di Pietro: “Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. La magnanimità del Signore nostro consideratela come salvezza” (3, 9. 15).

+ Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia – San Remo

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