La tradizione ha chiamato “Epulone” l’uomo ricco che ogni giorno “banchettava” (epulabatur) e “povero Lazzaro” il piagato e affamato alla sua porta; “Povero”, come fosse il cognome di Lazzaro.
Arriva la morte per entrambi e con essa non la fine di tutto, ma il giudizio su ogni cosa. Il giudizio è parte grande della fede cristiana e riguarda il ritorno del Signore, che “verrà a giudicare i vivi ed i morti”. Incapace di accogliere il povero, epulone è però in grado di scavare un abisso, l’inferno di una solitudine dove nessuno è invitato, neppure Dio, e di caderci dentro.
Una parabola con scene come in un film. Le condizioni di Lazzaro e del ricco si capovolgono nella morte. Non ce ne voglia Totò, ma la morte non è una livella, una falce che pareggia l’erba. La morte separa, distingue e giudica: il ricco diventa un mendicante inascoltato, mentre il povero è portato accanto ad Abramo, in braccio a Dio. È la logica del Magnificat, è la legge delle beatitudini. Il Regno di Dio è il grande correttivo dell’immensa ingiustizia che c’è nel mondo. In terra è il povero che non ha nome per gli uomini, in Cielo è il ricco a non avere il nome.
Epulone (un uomo di cui non conosciamo il nome, salvo il riferimento al suo passare da un banchetto – epulum – all’altro) non è cattivo perché è ricco, ma perché non si accorge del povero Lazzaro che mendica la sua vita a frusto a frusto (Dante), che è privo di tutto ma non del nome che ne dice l’identità e che ne farà nel tempo patrono degli ospizî per poveri e dei lazzaretti. Il Lazzaro della parabola richiama anche il Lazzaro di Betania: entrambi richiami alla Resurrezione.
Povertà e ricchezza: non è una questione di valori, ma di relazioni. Nella parabola del figliol prodigo è la relazione col padre; nella parabola dell’amministratore la relazione col padrone; in questo Vangelo è la mancanza di relazione col povero nella sua quotidiana liturgia di mendicante.
La spiegazione è nell’abisso incolmabile fra il ricco e Lazzaro. La vita del ricco è un abisso, non si accorge del povero che muore alla sua porta. L’abisso è nel suo cuore e nella omissione di chi è convinto di non poter far nulla per lui.
Una cosa possiamo farla tutti – è la briciola sotto la mensa – avere compassione, ascoltare, vedere, capire, prendere a cuore.
San Agostino: “Se però ricco e povero sono tra loro antitetici, è vero che sono reciprocamente necessari. Nessuno sarebbe nel bisogno se essi si sostenessero l’un l’altro, nessuno sarebbe travagliato se si aiutassero tra loro. Ci sono i ricchi perché ci sono i poveri, e i poveri perché ci sono i ricchi. Al povero spetta di chiedere e al ricco di donare: Dio ricambia con doni grandi i nostri piccoli doni, e da un piccolo atto di pietà nasce un frutto abbondante di bene”.
Mons. Angelo Sceppacerca
Fonte – Diocesi Triveneto