Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 9 Settembre 2022

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Gioco di sguardi

“Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?” (v. 41). C’è qualcosa di assurdo nella situazione dipinta da Gesù: come si può individuare una pagliuzza nell’occhio di chi ci sta di fronte con una trave davanti agli occhi? Eppure, lo sappiamo bene, alcune “travi” funzionano come dei microscopi, che ci permettono di scrutare fin nelle fibre il difetto del nostro vicino. Ma Gesù ci mette in guardia: ipocrita! Vederci bene è un’altra cosa. Ma la pagliuzza c’è davvero – obiettiamo noi – non me la sono inventata, non sto calunniando il fratello, lo sto correggendo. Sì, ma non basta vedere, occorre vederci bene, e mentre, stranamente, è possibile vedere anche attraverso una trave, non è possibile vederci bene se non dopo essersi liberati di quella trave.

“Togli prima la trave dal tuo occhio” (v. 42). In questo modo, Gesù apre uno spazio, ci costringe a inserire un salutare intervallo tra il vedere e il parlare, tra la constatazione e la correzione. E in questa parentesi di tempo ci invita a volgere lo sguardo su di noi e ad accorgerci di quella trave, a smascherarla con delle semplici, quanto scomode domande: il difetto dell’altro non mi dà forse tanto fastidio proprio perché è anche il mio? Oppure, non è che quel suo limite mi risulta tanto evidente semplicemente perché “quello lì” io davvero non lo sopporto? Sì, sono un ipocrita, che dice “amico” pensando “nemico”, che correggendo amorevolmente condanna!

Attenzione però che questo volgere lo sguardo su noi stessi non diventi un alibi. Gesù non dice: preoccupati solo di togliere la trave dal tuo occhio, ma “togli prima…”. Non è che vedere la nostra trave debba condurci a chiudere gli occhi sulla pagliuzza dell’altro; non deve sfociare in un comodo: “Chi sono io per giudicare?”. Certo, Gesù vieta di giudicare, ma comanda di correggere! Quella pagliuzza sia per te un richiamo urgente: sbrigati a sbarazzarti della tua trave non solo per il gusto di vederci bene, ma anche perché così potrai liberare tuo fratello dalla sua pagliuzza. Il fine ultimo del lavoro su di te non sei tu, ma il fratello. Se non vuoi correggerti per il tuo bene, correggiti per il suo!

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Dopo esserti sbarazzato della tua trave, volgi di nuovo lo sguardo al fratello. Allora, infatti, ci vedrai bene. Allora, non vedrai una pagliuzza in un occhio, ma un occhio offuscato da una pagliuzza; allora, pronuncerai quel “fratello, lascia che ti aiuti”, non con tracotanza e malizia, ma con l’umile sincerità di chi, nella comune debolezza, riconosce un fratello; allora, sorriderai al pensiero che quell’occhio in cui scorgi una pagliuzza presto potrà vederci bene e togliere dal tuo occhio un’altra trave di cui sei ancora inconsapevole.

E se volgendo lo sguardo sulla mia trave riconosco in me lo stesso difetto del fratello, ma non riesco ad estirparlo? In questo caso, devo rinunciare a correggere il fratello? In questo caso – riflette con la grande umanità che lo caratterizza Agostino d’Ippona – “non rimproveriamolo, ma proviamone insieme dolore e invitiamolo non ad ascoltarci ma a tentare insieme”.

fratel GianMarco

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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