Matteo riassume il ministero di Gesù ripetendo per due volte: “Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità” (Mt 4,23; 9,35). Nei capitoli 8 e 9, che precedono l’invio in missione degli apostoli da cui è tratta la pericope odierna, l’evangelista ricorda le guarigioni di lebbrosi, indemoniati e afflitti da malattie, leggendole come compimento della profezia: “Gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie” (Mt 8,16-17) e, poco dopo, riporta la resurrezione di una ragazza (cf. Mt 9,23-25). Certamente questa azione di guarigione e di liberazione operata da Gesù ha colpito le folle. Il suo annuncio del Regno è caratterizzato da tre elementi: percorrere, insegnare, guarire. Quando invia gli apostoli, chiede loro di fare le stesse cose: “Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi” (Mt 10,7-8). Questo è il contesto della nostra pericope. Gli apostoli hanno fatto strada con Gesù, hanno visto e ora sono associati alla sua stessa opera. Gesù spiega loro le condizioni perché questo sia possibile. Il testo odierno ci presenta la prima esigenza, messa in evidenza da due termini rari che ricorrono in questo passo: “gratuitamente” (v. 8, solo qui in Matteo) e “degno” (in Mt 3,8 e qui al v. 13).
“Gratuitamente”: senza causa, senza merito, senza discernere delle motivazioni o giustificazioni. Questo termine, che nel linguaggio biblico spesso descrive una punizione non legata al peccato, qui è usato per dire che la scelta di Dio avviene “gratuitamente per la sua grazia”, come ricorda Paolo (Rm 3,23-24). La giustificazione per grazia può essere accolta solo riconoscendo di non averla meritata e può essere annunciata solo se non è accompagnata da alcunché possa essere percepito come forza o potere né da parte di chi riceve l’annuncio, né da parte di chi lo fa: nessuna ricchezza, nessun vantaggio sociale, nessuna riserva che potrebbe garantire il discepolo nel futuro. Chi annuncia (insegna e opera guarigioni) deve sapere di non essere migliore degli altri, di aver ricevuto qualcosa di cui non è lecito appropriarsi e deve, giorno per giorno, fare l’esperienza di porre la propria fiducia in Dio solo.
Lavorare e custodire, il primo compito affidato da Dio agli umani (cf. Gen 2,15) è richiesto anche al discepolo: egli è qualificato come lavoratore (v. 10) e a lui è richiesto discernimento e rispetto (v. 11: “domandate chi là sia degno e rimanetevi finché non sarete partiti”). Discernere chi possa accogliere la Parola, rispettare la sua disponibilità, rimanendo in quella casa, senza ricercare o preferire soluzioni più prestigiose o vantaggiose. Si parla comunque di essere degno, e questo può sembrare l’opposto di quel “gratuitamente” messo in evidenza prima. Sia colui che annuncia, che colui che accoglie devono mostrarsi degni: l’uno non creandosi nessun appoggio o sicurezza, l’altro ascoltando veramente l’annuncio. Giovanni Battista aveva chiesto ai farisei e sadducei che chiedevano di farsi battezzare: “Fate un frutto degno della conversione” (Mt 3,8). Gesù alla fine del capitolo 10 ritorna sul significato dell’essere degno e, dopo aver invitato a non temere (Mt 10,28.31), dice: “Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà. Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato” (Mt 10,37-40). Di qui impariamo cosa significa ascoltare l’annuncio del Regno e accoglierlo: significa accogliere Cristo e il Padre nella propria vita, rileggendo e riorientando l’attaccamento a se stessi e alla propria storia in modo più ampio e più profondo. Gesù ci invita a coglierci nel legame fondamentale e costitutivo con il Padre: come esseri umani chiamati a lavorare e custodire, come figli chiamati alla comunione e alla sequela del Figlio.
Gratuità e dignità non si oppongono: la grazia ci è data per trasformarci, la parola del Regno ci è annunciata perché, accogliendola, trasfiguri la nostra vita e, insieme, la storia e il mondo.
sorella Raffaela
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