Il vangelo di Luca raduna in questi pochi versetti diverso materiale disparato che nel Vangelo secondo Matteo troviamo in altri contesti. Scandalo, perdono, fede sono i temi ivi trattati. Il termine scandalo indica letteralmente la pietra posta su un sentiero per far inciampare il passante e derubarlo dei suoi beni. Gesù con un’osservazione realistica che gli proviene dall’esperienza afferma che ci saranno sempre degli scandali. Non dice a che cosa si riferisce; forse scandalo è l’atteggiamento del ricco che neppure vede il povero Lazzaro; scandalo può diventare la croce di Cristo, annuncia Paolo (cf. 1Cor 1,23); già Gesù aveva dichiarato: “Beato colui che non trova in me motivo di scandalo!” (Lc 7,23). Si può restare scandalizzati da un messia che percorre la via dell’umiltà e della mitezza, che non risponde alla violenza con altrettanta violenza, ma continua ad amare anche quando la cattiveria degli uomini lo condanna alla morte in croce.
“State attenti a voi stessi” (v. 3) è il monito indirizzato ai discepoli, alla chiesa, a ciascuno di noi. Diamo scandalo ai piccoli, a chi non ha una fede salda, a chi con semplicità e ingenuità si è fidato di noi e poi scopre che non viviamo quello che predichiamo, vede la nostra incoerenza. Inviati come testimoni diventiamo contro testimoni. Ci vuole una grande vigilanza sulla nostra bocca, sul nostro agire, ma prima ancora sul nostro cuore.
Il secondo tema toccato in questi versetti è quello del perdono; non si tratta della prassi del perdono all’interno della comunità cristiana ma del perdono che il singolo è chiamato a donare a chi glielo chiede. Come reagire alle offese, al male che ci viene fatto? Luca esorta anzitutto a correggere; il male non va taciuto, non va ignorato altrimenti ne diventiamo complici e contribuiamo alla crescita del male, al diffondersi degli scandali. È difficile l’arte del rimprovero fraterno, molto difficile. Occorre saper trovare parole vere che sappiano coniugare severità e amore, che sappiano infondere timore di Dio e speranza di conversione. E il primo a sperare deve essere chi corregge. Ancor più difficile perdonare con tutto il cuore. Perdonare non è dimenticare. Gesù non chiede di dimenticare il male ricevuto; non è possibile e, non solo, può essere molto dannoso perché l’oblio caccia il male subìto nel nostro profondo e lo lascia agire nell’inconscio. Perdonare esige l’onesto riconoscimento che ci sentiamo colpiti e feriti dal male subìto ma che vogliamo con Gesù e in Gesù offrire il grande dono (perdono deriva da iper-dono) all’altro di poter ricominciare una relazione d’amore con noi. Di certo non possiamo costringerlo. Il perdono è sempre possibile, la riconciliazione deve essere voluta e perseguita da ambedue le parti. Non possiamo costringere l’altro a fare dei passi di riconciliazione, se non lo vuole.
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Forse è per questo motivo che Luca ha fatto seguire l’insegnamento sul perdono dalla richiesta dei discepoli: “Accresci in noi la fede” (v. 6). Pensiamo che la capacità di perdonare chi pecca contro di noi sette volte al giorno (sette è il numero che indica il compimento, potremmo tradurre “un’infinità di volte”) sia propria soltanto di uomini e donne che possiedono una fede straordinaria. Gesù ricorda invece che basta una fede grande come un granellino di senape, basta un briciolo di fede per compiere opere straordinarie illustrate dall’esempio paradossale del gelso che obbedisce all’ordine di gettarsi nel mare. Basta un briciolo di fede per vincere il male con il bene (cf. Rm 12,21)!
sorella Lisa
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