Risuscitare la dignità
“Risuscitate i morti”: missione impegnativa quella che Gesù affida ai dodici, inviandoli a predicare con opere e parole che “il regno dei cieli è vicino”. Vasto programma, missione impossibile, possiamo ben dire! Eppure questo comando apparentemente irrealizzabile non deve distrarci dal cercare ogni giorno di mettere in pratica tutti gli altri comandamenti che Gesù accosta a questo: se nessuno di noi – come del resto nessuno tra gli apostoli stessi e i loro successori di ogni tempo e di ogni luogo, a parte Pietro e Paolo – ha mai resuscitato un morto, ciascuno e ciascuna di noi ha il potere – e il dovere cristiano – di curare i malati (se non di guarire le malattie), di reintegrare gli emarginati come i lebbrosi, di respingere il demone della divisione che si insinua in noi stessi, negli altri e nei nostri rapporti.
Inoltre ci potremmo chiedere se la nostra impossibilità a resuscitare i morti non dipenda anche dal nostro non volere mettere in pratica gli altri comandi, le altre declinazioni dell’unico comandamento nuovo e antico, quello dell’amore. Dovremmo chiederci quanto della nostra inadeguatezza verso una missione umanamente impossibile non dipenda dalla nostra disobbedienza rispetto agli strumenti e alle modalità che Gesù ci indica per ottenere la credibilità del nostro annuncio, a cominciare da quel radicale “non procurarsi oro né argento né denaro”, così semplice e così perennemente disatteso.
Secondo questo brano evangelico, due paiono le condizioni che rendono credibili i discepoli di Gesù: innanzitutto la consapevolezza che quanto abbiamo ricevuto è un dono gratuito di Dio e come tale deve essere restituito gratuitamente attraverso la condivisione. E poi la convinzione che la nostra “dignità”, il nostro essere degni dipende dalla qualità del nostro lavoro di operai e dalla pace che abita in noi e che sappiamo suscitare attorno a noi. Gesù parla, letteralmente, di operai degni del loro nutrimento, di persone degne di ospitare viandanti e pellegrini, di dimore degne della pace. C’è un tacito riconoscersi e alimentarsi vicendevole di queste “dignità”: il lavoro, la casa, la pace.
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Se poi una casa o una città – si noti, non una singola persona – si mostrano inospitali e sordi alla parola di pace e ai gesti di cura, allora il discepolo esce da quello spazio sterile e va altrove. Deve preoccuparsi solo che nulla di quella “indegnità” gli resti addosso. Non è invece affar suo occuparsi di eventuali castighi, perché all’indisponibilità all’ascolto di una parola di pace non si risponde con la guerra, nemmeno con un’ipotetica e inesistente guerra giusta, né una giusta condanna ripara il danno causato.
Sì, molto probabilmente nessuno di noi riuscirà mai a risuscitare un morto, ma curando le persone, accogliendo gli emarginati, recando gratuitamente la pace ricevuta in dono dal Risorto, una pace che non attende il contraccambio, saremo capaci di risuscitare la dignità che giace insopprimibile in ogni essere umano.
fratel Guido
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