Credi come digerisci
Nei versetti precedenti si parla di “tradizione degli antichi” (nient’altro che precetti di uomini, ribadisce Gesù!) da osservare e imporre come criterio di vita credente. Col rischio inavvertito di liberarsi del Comandamento, tenendo invece la tradizione che, per quanto tentativo lodevole ed indispensabile – addirittura ispirato nelle sue linee di fondo – di rendere presente Dio nel quotidiano della comprensione e della vita, non è sullo stesso piano della Parola. Se si perde questa distinzione ci si chiude ad ogni nuova concretizzazione e si finisce con l’annullare il Comandamento che si era voluto servire.
I distinguo sono necessari, sono la via per evitare di assumere una prospettiva cavillosa che non mette in discussione la precettistica generalizzata e anzi la ratifica e la rafforza, non cerca libertà e responsabilità ma esenzioni e scappatoie di cui solo i più acculturati possono fruire, lasciando gli altri caricati di “pesi insopportabili”.
Il nostro brano insiste sulla distinzione, che permette a Gesù di contrastare la costante tentazione del religioso di appiattire tutto in uno stesso livello di importanza per la vita credente.
Due scene con pubblico, impegno e peso diversi: un breve detto e la raccomandazione di ascoltare e capire per la folla, di cui non sono riportate le reazioni. L’attenzione è sui discepoli in difficoltà, che non fanno elucubrazioni personali ma, con fiducia e libertà, cercano in Gesù il loro luogo di comprensione, accettando la brutta figura e il rimprovero: il modo credente di porsi davanti ai problemi!
Riceviamo con loro un insegnamento sconvolgente nella sua elementarità: verifica della religione è l’umano, il funzionamento del corpo addirittura! Gesù sposta la prospettiva dall’esterno all’interno, distinguendo gerarchicamente nell’uomo stesso il ventre ed il cuore, col presunto contaminante che entra ed esce, senza entrare in contatto con l’essenziale.
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Viene posto un limite alla tentazione di invadere ogni aspetto del vivere, applicando gli stessi principi e chiedendo gli stessi vincoli, pretendendo di sapere già ogni cosa, anziché scrutare, accogliere, rispettare il mistero dell’uomo creato da Dio.
L’esterno non è un problema se non nella misura in cui provoca qualcosa nel cuore, quindi “tutto mi è lecito, ma non tutto giova… non mi lascerò asservire da nulla” (1Cor 6,12). Problema non è il mondo di per sé, ma la mondanità che abita noi e che da noi fa uscire ciò che contamina!
Un antropocentrismo etico, con cui passare dal sospetto che non assapora il buono della vita, al discernere responsabile, personale e comunitario, del come ci si rapporta e cosa si produce. Non c’è irenismo o relativizzazione: il puro e l’impuro esistono ed è indispensabile discernerli per il comportamento etico, ci sono elementi da evitare, c’è un male che sollecita le nostre intenzioni. Ma il vero problema non è ciò che entra in relazione con noi bensì il risultato balordo dell’incontro col cuore, centro dell’uomo. Lo sguardo di Eva e di Adamo trasforma e rende pericoloso il frutto, di per sé rimasto tale e quale!
L’ascesi davvero cristiana si occupa non dell’esterno ma del cuore, delle nostre relazioni cattive che contaminano noi e il mondo.
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fratel Daniele
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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