“Il Figlio dell’uomo è signore del sabato”: così si concludeva il brano evangelico di ieri (Lc 6,5). E il testo di oggi è un’illustrazione di tale “signoria”. Il sabato – va ricordato – è il giorno che custodisce la memoria del riposo di Dio dall’opera creazionale, e insieme la memoria della liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù. Giorno di festa, dunque, in cui il credente è invitato a entrare nel riposo di Dio, a gioire della creazione, ad astenersi dal fare, che è cosa buona, ma non dice il tutto dell’uomo, in quanto l’essere umano è chiamato sì a lavorare, ma anche ad astenersi dal lavoro, per non alienarsi in esso, per non ricadere in un’altra schiavitù.
Gesù è signore del sabato perché lo vive secondo l’intenzione di Dio che ne ha dato il comando, perché lo libera da una pratica diventata legalista: non le prescrizioni nel mezzo, bensìl’uomo,la vita dell’uomo! In piena fedeltà al progetto di Dio, Gesù vuole che il sabato sia un’occasione di “fare il bene” e di “salvare” (cf. v. 9). Proprio perché è giorno “santo”, il sabato esige più che mai azioni di liberazione e di salvezza.
Va anzitutto rilevata, in questo testo, l’importanza dello sguardo. C’è lo sguardo di grande compassione (di umanità!) da parte di Gesù, che sa vedere, là ai margini della comunità radunata nella sinagoga, l’uomo con la mano inaridita; menomazione che all’epoca penalizzava fortemente non solo la vita lavorativa, ma anche quella relazionale. E c’è un guardare che è in realtà uno spiare, uno sguardo abitato da un’intenzione malvagia, un tenere d’occhio per cogliere in fallo e poter accusare. Un guardare che uccide, e un guardare che dà vita…
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“Alzati e mettiti qui nel mezzo!” (v. 8): due precisi movimenti che partono dal comando di Gesù, ma che richiedono la risposta dell’uomo: mettersi in posizione verticale (“alzati”, risorgi!) e porsi nel mezzo. Ecco l’agire di Gesù: rimettere l’uomo “in piedi” e riportarlo al centro, sottraendolo alla condizione di marginalità, restituendogli dignità e pienezza di vita.
“Domando a voi: in giorno di sabato, è lecitofare del bene o fare del male…?” (v. 9). La domanda di Gesù è spiazzante: non chiede se sia lecito guarire in giorno di sabato, ma se sia lecito salvare una vita o farla perire. Sposta il problema dal piano legale (che cosa è lecito fare?) al piano etico, morale: si tratta di fare del bene o di fare del male, di salvare o di far perire. O si fa il bene o si fa il male! E l’omissione non è un fare niente, è fare il male, fosse pure per motivi religiosi. Perché quando si omette di fare il bene, di fatto si fa il male. Per Gesù, è il bene dell’uomo il solo criterio per agire, in giorno di sabato come in qualsiasi altro giorno.
“Essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro” (v. 11): l’occhio per spiare e accusare, la bocca chiusa, la collera nel cuore… Alla domanda posta da Gesù scribi e farisei non rispondono, e la cosa non sorprende: chi spia non parla di fronte all’interessato, parla alle sue spalle. E dove non c’è un parlare aperto, c’è un parlare “dentro”: parla una cieca rabbia, che sfocia nella volontà di far morire Gesù, come dice senza mezzi termini il racconto parallelo di Marco (Mc 3,6).
“E la sua mano fu ristabilita (da preferire a ‘guarita’)” (v. 10): significativo questo verbo, perché dà al comandamento del sabato il suo significato più profondo: ristabilire l’uomo nella sua integrità creazionale. Che cosa sono tutte le azioni di Gesù se non interventi per restituire pienezza di vita? Sì, mani che toccano, piedi che camminano, occhi che vedono, orecchi che odono, bocche che parlano, vite che vivono…
fratel Valerio
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