Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 6 Luglio 2020

Due situazioni votate alla morte sembrano irrimediabilmente attanagliare due donne nel brano evangelico odierno: la figlia di un capo religioso è “morta proprio ora” (v. 18) e un’altra “figlia” (v. 22: è Gesù stesso a rivolgersi a lei con quel termine) soffre di perdite di sangue da dodici anni. Ma la presenza di Gesù, o meglio la fede riposta nella sua parola, permette a queste due figlie di uscire dal limbo in cui giacciono e di essere riportate alla vita.

“Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro?” (Mt 8,15), aveva appena chiesto Gesù ai discepoli del Battista venuti a interrogarlo. Ora, richiamando dai morti la fanciulla e offrendo una nuova vita sociale alla donna emorroissa, Gesù conferma con i fatti che, finché egli è presente in quanto sposo, non è tempo di lutto, poiché lui stesso porta vita con la sua parola e la sua azione risanatrice.

La ragazza che tutti dicono morta è figlia di un capo religioso: ora, di fronte alla malattia, al dolore, alla morte, indica l’evangelista, non vi sono più ruoli sociali, non valgono più le distinzioni religiose, ma tutti sono spinti da una stessa aspirazione alla guarigione, alla salvezza. Più che il capo, quindi, è il padre disperato a presentarsi con audacia dinanzi al maestro itinerante (al quale non si sarebbe mai avvicinato in altre circostanze) per chiedergli di ribaltare in vita la condizione di morte della ragazza. La disperazione è per lui occasione per osare la fede.

Allo stesso modo, la donna che entra in scena in quell’istante, afflitta per lunghi anni da una malattia intima considerata impura, con arditezza sfiora la veste di Gesù. Vista la sua situazione, secondo le prescrizioni rituali, in nessun caso avrebbe dovuto toccarlo: con tale contatto, infatti, la sua impurità contamina anche gli altri. Ma il desiderio di essere “salvata” (v. 21) è più grande delle regole cultuali.Osa anche lei la fede, che sa esprimere solo maldestramente attraverso un gesto superstizioso. Ed ecco, “la tua fede ti ha salvata” (v. 22): non lei contamina lui, ma la pienezza di vita di cui Gesù è portatore – e di cui la sua parola si fa garante – si riversa su di lei.

La parola annunciata in risposta all’audacia fiduciosa della donna offre guarigione, salvezza, vita piena. E la stessa parola di vita, che fa eco alla fede del padre, nonostante la derisione dei vicini di casa che vorrebbero metterla a tacere, realizza una novità radicale: “La fanciulla non è morta” (v. 24)!

Sì, spesso “noi sperimentiamo la morte con tutta la nostra vita, sperimentiamo questa vita con tutta la sua morte” (Jürgen Moltmann). Ma abbiamo la forza a nostra volta di porre la nostra fiducia nella presenza del Signore, di fare fede all’efficacia della sua Parola? Nonostante le nostre inibizioni personali, sociali o religiose, osiamo “cercarne la presenza” (Sal 27,4), metterci in ascolto della sua parola di vita sempre rinnovata! Nelle nostre situazioni di morte, apparentemente ineliminabili, le due figlie del brano evangelico odierno ci insegnino ad aprire gli occhi su colui la cui presenza incessantemente offerta può guarire e salvare, per tracciare sempre di nuovo cammini di vita nelle nostre esistenze.

fratel Matthias


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