L’inizio del vangelo odierno fa riferimento a quello letto ieri. Vedendo Gesù e i suoi a tavola con pubblicani e peccatori, i discepoli di Giovanni il Battista si associano alla critica dei farisei. Gesù, prima di cominciare il suo ministero pubblico, si era messo in fila con quanti si presentavano da Giovanni per ricevere il suo battesimo. Ora però è uscito dalle fila dei discepoli del Battista, ha radunato a sua volta dei discepoli, ed è della condotta di questi ultimi che gli si chiede conto.
La domanda verte sul digiuno, una pratica di grande importanza per il giudaismo, stimata dall’ebreo Gesù (cf. Mt 6,17-18). Qui però lo standard sembra fissato dalla volontà di alcuni di digiunare “molte volte”, più di quanto prescriveva espressamente la Torah: è sul rispetto di questi digiuni volontari che si pone la questione.
Gesù risponde con una parabola che parla di uno sposo e dei suoi amici (lett.: “figli”), invitati alle sue nozze. Il punto è che alcuni invitati – la maggior parte! – non si sono accorti che le nozze sono già iniziate (cf. Is 61,10-62,5). I discepoli di Giovanni e i farisei sembrano essere inconsapevoli dell’ora che vivono. Al contrario, nell’ora dell’incontro con Gesù, pubblicani e peccatori hanno riconosciuto il regno di Dio avvicinatosi a loro. Citando il quarto evangelista, potremmo dire che sono questi i veri discepoli del Battista, che dirà di sé: “L’amico dello sposo, che lo ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo” (Gv 3,29). In quell’ora la sua gioia è piena: al vuoto del digiuno succede la pienezza della gioia.
Il discernimento dell’ora che si vive: ecco ciò a cui sempre vuole condurre la parola di Dio. D’altronde è questo che ha spinto Gesù a invitare altri a seguirlo senza dilazioni, relativizzando doveri familiari e abitudini religiose, lasciando che i morti seppelliscano i loro morti (cf. Mt 8,21-22) e preferendo la comunione di tavola con i malati a un’asettica purità (cf. Mt 9,11-12). Ed è questo che ha condotto Gesù a non sottrarsi all’ora della croce, cui fa pensare l’espressione “verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno”. Dopo l’ora della festa per la presenza dello sposo verrà di nuovo l’ora del lutto.
In prospettiva cristiana, tuttavia, la triste ora della croce, in cui lo sposo è tolto, è l’ora in cui le nozze inaugurate con la sua venuta trovano il loro paradossale compimento. Ecco perché rimane difficile anche per noi, e non solo per i contemporanei di Gesù, comprendere che c’è un vecchio che non è in grado di accogliere, integrare e custodire il nuovo che si afferma e trionfa nell’apparente negazione e sconfitta della croce.
La novità del vangelo, beatitudine paradossale, è come vino giovane, incontenibile negli otri vecchi della nostra mentalità mondana; è come stoffa grezza, sciupata se usata come rattoppo per il vestito logoro del nostro uomo vecchio.
Per questo il vangelo non cessa di chiamarci a una conversione integrale di tutta la nostra umanità. Perché è solo cambiando mentalità e logiche che riempiono e rivestono ogni nostra ora che potremo infine lasciarci contagiare dalla gioia dell’amico dello sposo, gioia di chi crede alla promessa dell’amato “tolto” e ritrovato: “Io sono sempre con voi” (cf. Mt 28,20).
fratel Fabio
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Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro?
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 9, 14-17
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno. Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo porta via qualcosa dal vestito e lo strappo diventa peggiore. Né si versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si spaccano gli otri e il vino si spande e gli otri vanno perduti. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l’uno e gli altri si conservano».
Parola del Signore.