Il nostro brano inizia con Gesù che parte.
Era stato nel paese dei Gerasèni, dove aveva liberato l’indemoniato abitato da Legione. Salito in barca aveva trovato ad attenderlo sull’altra riva una grande folla, e in mezzo a loro una donna lo aveva toccato speranzosa ed era stata curata dalla sua infermità. Solo con Pietro, Giacomo e Giovanni era andato nella casa di Giairo e ne aveva rialzato dalla morte la figlia (Mc 5). L’eco delle sue gesta cominciava a precederlo e a creare attese e speranze su di lui.
Ora parte per tornare, per tornare nella sua patria e i suoi discepoli lo seguono. Entra di sabato nella sinagoga e inizia ad insegnare. E qui inizia lo scandalo.
Gesù era ben conosciuto, rientrava in un confine sociale chiaro, praticava il mestiere di falegname, la sua parentela, il nome di sua madre e dei suoi fratelli, erano noti, ma ora appare diverso. Si mostra come un sapiente che opera prodigi, uno dalle mani che curano, e non era certo quello che si aspettavano da lui.
E il diverso ci spiazza, ci spaventa, perché ci costringe a quella faticosissima operazione di modificare i nostri pregiudizi. Per questo Gesù dice loro “un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua” (Mc 6,4).
Quando pensiamo di conoscere una persona possiamo rinchiuderla nell’immagine che abbiamo di lei e ciò che si discosta ci scandalizza, ci sforziamo allora di ricondurla alle nostre categorie e di sminuire ciò che ci urta, nel tentativo di ridurre al minimo la possibilità di espressione dei comportamenti per noi problematici. Gesù resta meravigliato dell’incapacità della sua gente di credere a quanto stava avvenendo e può fare ben poco, solo curare qualche malato.
Di fronte all’ottusità persino Gesù, colui a cui è stato dato il potere di sottomettere a sé tutte le cose (Ef 1,22), diventa impotente. Non perché venga meno la sua capacità, ma perché l’azione di Dio passa solo dove trova accoglienza.
E a volte proprio quello che ci scandalizza, quell’ostacolo, quella pietra di inciampo, sono l’occasione che abbiamo per rimetterci in cammino. Se smettiamo di chiederci se amiamo, se stiamo ancora camminando dietro al Signore, se ancora ci appassiona la Parola, rischiamo che la familiarità uccida la nostra passione, il nostro desiderio di incontrare ancora una volta il Signore. Se invece osiamo attraversare l’ostacolo possiamo arrivare a scoprire non lui diverso, ma noi diversi perché abbiamo accettato di cambiare il nostro sguardo.
Da terra, dove siamo caduti, possiamo diventare capaci di volgere lo sguardo verso l’alto e intorno a noi e scoprire da questa nuova prospettiva la bellezza dei dettagli, le sfumature dei fili d’erba che indaffarati e adagiati usualmente non ci curiamo di calpestare. Se lasciamo che ciò che ci disorienta diventi parola eloquente possiamo sperimentare come possa essere arricchente non rinchiudere gli altri nei nostri usuali e usurati schemi.
Perché l’altro ha il diritto e il dovere di sorprenderci e scomodarci, ed è così fratello, sorella indispensabile per il nostro cammino.
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Mc 6, 1-6
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
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