Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 5 Settembre 2022

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Il sabato è stato fatto per l’uomo

Era un sabato, quel giorno… Giorno di festa, di riposo, di astensione dal lavoro, al fine di essere disponibili per Dio, di creare in sé un «vuoto», uno spazio di accoglienza e di lode per Dio, per abitare il riposo di Dio e lasciare che Dio venga ad abitare nell’interruzione del tempo umano. Il «fare» umano cede il passo all’accoglienza del dono di Dio, che è pienezza di vita, in pura gratuità.

Era un sabato, quando sguardi cupi dei custodi della lettera che uccide (cf. 2Cor 3,6) spiano Gesù, per vedere se avrà l’ardire di infrangere la norma della Legge che impone il riposo sabbatico…

Gesù conosceva il precetto giudaico dell’osservanza del sabato, ma il suo sguardo e il suo cuore sanno raggiungere il senso più profondo di quella prescrizione, l’«intenzione del Legislatore». Il sabato è, in qualche modo, il «sacramento» della presenza di Dio: curare in giorno di sabato significa allora far entrare altri nel riposo di Dio, in quel riposo che sana, guarisce, lenisce le sofferenze, fascia le ferite; curare in giorno di sabato significa rendere partecipe un malato della vita riposante di Dio, attingendo al Suo dono e ricevendolo.

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Ai giudizi severi dei custodi dell’ortodossia e alle sentenze inappellabili dei guardiani dell’ortoprassi, Gesù risponde con una domanda che resta senza risposta, se non quella di un silenzio carico di collera.

Gesù mostra che Dio ha voluto il sabato per l’uomo, e non viceversa: ha voluto la festa per l’uomo, ha voluto la misericordia per l’uomo, ha voluto pienezza di vita per l’uomo. Se all’uomo è chiesto di custodire un precetto, è solo perché quel precetto possa fungere da strumento per aiutarlo a sapersi e sentirsi custodito dalla condiscendenza di Dio stesso.

Così Gesù manifesta lo sguardo di misericordia di Dio, quello sguardo che supera ogni legalismo oppressivo e, in fondo, disumanizzante, allorché si avvita su sé stesso, in una spirale di cataloghi, casistiche e sanzioni.

«Àlzati!» (égheire, v. 8) è la prima parola che Gesù rivolge al malato; è un verbo pasquale, che ricolloca quell’uomo nella compagnia dei sani, di quanti sono nel vigore delle forze e godono della possibilità di un agire autonomo, di risollevarsi per stare saldi in una vita risanata.

Allo stesso modo, ciascuno di noi vorrebbe sentirsi ripetere quell’invito a risorgere: «Àlzati!», per destarci dei nostri torpori, dalle nostre paralisi di paura, di sconfitta, di sofferenza, per ricominciare, per riscoprire la possibilità e il senso dei nostri gesti, per uscire dalla nostra immobilità, per andare incontro alla vita salvata…

«Tendi la tua mano!» (v. 10). All’uomo è chiesto di partecipare all’opera di Dio con questa tensione, con questa attesa, con questo slancio per entrare nel sabato di Dio, per trovarvi pacem quietis, pacem sabbati, pacem sine vespera, «la pace del riposo, la pace del sabato, la pace senza tramonto» (Agostino, Conf. 13, 35, 50).

La tradizione rabbinica racconta che, quando fu terminata l’opera della creazione, il Sabato andò a lamentarsi con il Creatore: «Signore dell’universo, tutto quel che hai creato è fatto a coppie: a ogni giorno della settimana Tu hai concesso un compagno; soltanto io sono rimasto solo». E Dio gli rispose: «La comunità d’Israele sarà il tuo compagno». «Nonostante la sua maestà, – commentava Abraham Joshua Heschel – il Sabato non è autosufficiente, la sua realtà spirituale reclama la partecipazione dell’uomo. Un ardente desiderio pervade il mondo: i sei giorni hanno bisogno dello spazio, il settimo ha bisogno dell’uomo». Di un Dio fatto uomo, affinché l’uomo diventi veramente uomo e scopra la verità di quel giorno, il sabato, che «è stato fatto per l’uomo» (Mc 2,27), e quindi è stato fatto anche per interrompere e far arretrare il male.

Un fratello di Bose

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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