Lo stile dell’annuncio evangelico
Gesù ha preso la decisione di dirigersi a Gerusalemme dove sa che lo aspetta la sua passione e la sua morte, come ha già annunciato più volte ai discepoli. Per i discepoli più si avvicina l’ora della croce e più cresce l’incomprensione sulla vicenda di Gesù. Luca scrive che “Gesù rese duro il suo volto”, a somiglianza del servo del Signore di cui Isaia descrive la passione al cap. 50.
Ora designa settantadue discepoli e li invia a due a due, come a precederlo nel suo cammino. Il numero settantadue indica le nazioni pagane, come un po’ prima, quando aveva inviato i dodici apostoli, il dodici indicava le tribù di Israele.
“A due a due”, indica una dimensione già comunitaria: non la testimonianza di un singolo ma una testimonianza comunitaria, ecclesiale. Questo testo prefigura la missione universale che avverrà dopo la resurrezione del Signore. Vediamo che i discepoli oltre ad essere alla sequela del Signore, sono anche annunciatori della sua venuta.
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È annunciata una messe abbondante ma è opera impari dinanzi alla pochezza dei discepoli; per questo hanno bisogno di preghiera, per mettere tutto nelle mani di Dio. La missione non è un nostro progetto, è opera di fede, è opera della potenza di Dio che agisce nella nostra debolezza.
“Io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”. Non ci aspettano facili trionfi ma piuttosto ostilità, come è avvenuto per Gesù. Ci sarà ascolto e ci sarà rifiuto. Possiamo contare solo sulla parola del Signore; di nostro abbiamo presunzioni o paure. E bisogna conservarsi agnelli; saremmo tentati di farci lupi, anche se con nobili scopi. Lo stile deve restare evangelico e non assumere i connotati mondani di quantità, potere, successo. Ci basta chiedere con perseveranza la sapienza e la forza che il Signore non nega mai.
Noi penseremmo di equipaggiarci ben bene per questa impresa, ma invece il Signore ci spoglia, ci disarma, un po’ come il giovane David di fronte al gigante Golia. E impegnati a perseguire il nostro mandato senza attardarci in compiti inutili.
Non si tratta di un annunzio generico a grande diffusione, ma è tremendamente incarnato: si entra in una casa, ci si espone personalmente, si incontrano delle persone, si porta una parola di pace, perché “il Regno di Dio è giustizia, pace e gioia nello Spirito santo” (Rm 14,17). Se questa pace trova accoglienza allora può crearsi una comunione, una relazione benedetta. E chi annuncia non vanta meriti, non avanza pretese ma gioisce nel vedere all’opera la grazia di Dio.
Poi in quella casa o in quella città “mangiate quello che vi sarà offerto”, cioè assumete quella cultura, assumete quel linguaggio umano.
Si curano i malati, quanti sono colpiti dai mali che le nostre storie sbagliate ci procurano, e c’è l’annuncio di salvezza “il Regno di Dio si è avvicinato a voi”: questo si compie in Gesù, il Veniente ora e sempre. Il Dio che salva, il Dio che porta vita, speranza dove non c’è più futuro.
Questo annuncio non è neutrale, non lascia tutto come prima. Accoglierlo vuol dire porsi su una via di vita; rifiuto significa una prospettiva comunque mortifera. Anche questo deve essere testimoniato, “lo scuotere la polvere”, ma non come giudizio di condanna: è un estremo appello alla conversione, alla salvezza di tutti.
fratel Domenico
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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