Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 5 Ottobre 2021

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“Mentre erano in cammino …” (v. 38). Gesù e i discepoli sono in cammino. Ma ogni cammino, per quanto deciso, ha le sue tappe e le sue soste. E qui Luca ritrae un momento di sosta di Gesù presso due sorelle, sue amiche; un momento di sosta presso la brezza lieve e rigenerante dell’amicizia.

Ciascuna delle due donne cerca un proprio modo di farsi vicina al Signore. L’ospitalità di Marta è efficiente, accoglie con premurosa generosità l’ospite colmandolo di quello che ritiene necessario, ma nel suo desiderio di accogliere perde di vista l’essenziale: l’incontro, la relazione. È così distratta, cioè così tratta lontano dall’essenziale, da finire con il trascurare Gesù, con il non incontrarlo. Marta si affanna rendendosi schiava dei “molti servizi” (v. 40), quelle “troppe cose” (v. 41) che un senso del dovere non equilibrato dal giusto primato della relazione porta a essere causa di distrazione da ciò che davvero conta. Quei “molti servizi” parlano di un troppo che perverte un gesto d’amore – quello dell’ospitalità – in un dovere che imprigiona. Se l’amore impone la propria modalità senza lasciare spazio all’altro, allora diventa una forma di azione fine a sé stessa, che non pone l’altro come fine dell’azione stessa.

Di altro segno è l’ospitalità di Maria, un’ospitalità efficace perché non efficientista. L’ospitalità di chi sa cogliere il bisogno dell’altro e offre non cose, non servizi, ma sé stessa. E lo fa nell’unica misura che la vera offerta di sé conosce: la misura dell’eccedenza, che solo la gratuità realizza. Maria osa l’insolito, rompe le convenzioni, il modo prestabilito di agire di una donna dell’epoca. Si pone in ascolto come un discepolo: “Seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola” (v. 39). Maria si espone quindi alla ovvia reazione di giudizio e rifiuto che l’eccedenza porta sovente con sé, e la sorella non tarda a far salire alle labbra le parole di giudizio nate nel proprio cuore (cf. v. 40). Ma, come bene dice Dietrich Bonhoeffer:

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“A fianco del campo di grano che dà nutrimento,
che gli uomini rispettosamente coltivano e lavorano,
[…] a fianco del campo del pane quotidiano
lasciano però gli uomini fiorire il bel fiordaliso.
Nessuno lo ha piantato, nessuno lo ha innaffiato,
indifeso cresce in libertà
e con serena fiducia
che la vita
sotto il vasto cielo
gli si lasci.
A fianco di ciò che è necessario,
[…] anche ciò che è libero
vuol vivere
e crescere in faccia al sole.
[…] Il più prezioso, il più raro fiore
– nato in un’ora felice
dalla libertà dello spirito che gioca,
che osa, che confida –
è all’amico l’amico”.

Le parole di Gesù (vv. 41-42) si collocano e possono essere lette nello stesso orizzonte vasto che Bonhoeffer evoca in questa poesia. La “parte buona” (v. 42) è la parte che sa ospitare in sé con amicizia il volto carico di parole e di senso di un altro inatteso. E allora, oltre all’efficienza del necessario, della cura indispensabile per il grano che la quotidianità richiede, oltre al ripetersi di attività, di servizi, di impegni che fanno il necessario della vita, la sfida è di lasciar spazio al fiordaliso, ovvero a quella gratuità nell’incontro con l’altro, a quella vicinanza attenta che della vita è profumo e colore.

fratel Matteo


Fonte

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