Eccoci al cuore del vangelo, siamo di fronte al vangelo nel vangelo. Tre parabole in cui Gesù condensa e nello stesso tempo declina, ripete per gli orecchi sordi dei suoi ascoltatori, l’essenza del suo messaggio: la misericordia del Padre. Non c’è distanza che risulti incolmabile dal desiderio di amore del Padre: questo è il vangelo, che raggiunge la vita di ogni uomo e donna che incontrano Gesù e la sua Parola. Ma quale significato ha oggi per noi questa Parola travolgente? Porta ancora con sé quella forza dirompente, che può trasformare una vita?
Gesù apre questo scrigno durante il suo cammino verso Gerusalemme, circondato da una molteplice umanità. Il contrasto tra i personaggi che ruotano attorno a Gesù non è tuttavia dato dall’appartenenza a una classe sociale o religiosa ma dal loro atteggiamento, da ciò che abita il loro cuore. Alla tensione dei pubblicani e peccatori che si avvicinano a Gesù per offrire ascolto alla sua parola, si oppone la distanza dei farisei e degli scribi che sovrappongono la loro parola a quella di Gesù, mormorando tra loro. Hanno già le loro risposte, la loro verità.
Gesù però non si fa fermare dal mormorio, egli parla e si rivolge a tutti. Egli nel raccontare ci chiede di scorgere nel pastore, nella donna, quello che è il suo agire, ciò che lui è venuto a compiere, in piena sintonia con ciò che il Padre ha fatto in tutta la storia di salvezza. Gesù sta realizzando le promesse fatte dai profeti: “Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia” (Ez 34,16). E nella comunione con il Padre egli è qui proprio “per non perdere nulla di ciò che il Padre gli ha dato” (Gv 6,39).
“Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?” (v. 4). Gesù pone la domanda, fa appello a ciascuno. E noi, noi con la nostra logica della quantità, dell’interesse, noi “perderemmo” il nostro tempo prezioso per “uno” rispetto a “novantanove”? Noi siamo disposti alla fatica del cercare ciò che è prezioso? Perché ciò che fa Gesù con ciascuno è proprio questo: ci cerca per primo ovunque noi siamo nascosti, ci dedica tempo, attende e gioisce quando ci trova. Gesù non abbandona le novantanove, egli sa che le pecore hanno un istinto gregario, nel gregge sono al sicuro. Da sole si perdono, sono smarrite. Gesù cerca i perduti, gli smarriti, gli isolati, gli emarginati. Cerca ciò che è considerato di poco valore: un’unica moneta, ma preziosa ai suoi occhi. Cerca per “trovare e salvare” (cf. Lc 19,10): per ripristinare la relazione personale che si è interrotta. Questa è la salvezza per ogni uomo e donna: avere, sempre, rinnovata la possibilità di essere riammessi alla relazione con l’altro, il fratello, la sorella.
Gesù vuole ridare fiducia e speranza a chiunque: non importa chi o cosa è perso, ciò che conta è che per loro, chiunque essi siano, c’è qualcuno che si muove e cerca. Nessuno è realmente perduto definitivamente, nessuno è così lontano o nascosto da non essere trovato da Gesù. E noi, noi siamo per i nostri fratelli e sorelle, per i nostri familiari, per chiunque incontriamo, dei pastori solleciti e delle donne intente a cercare ciò che è perduto, riconoscendo a ciascuno di loro il valore prezioso che le loro vite hanno?
sorella Elisa
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