Il pane necessario
Stranamente, i racconti evangelici della moltiplicazione dei pani sono due e sono pressoché identici. Li consideriamo insieme perché il loro significato è più facilmente deducibile dal loro confronto, e anche perché il secondo racconto esula, quest’anno, dalla nostra sequenza liturgica.
Tra questi due racconti, il Vangelo registra uno spostamento geografico di Gesù, perché prima attraversa il mare e poi ha l’incontro con una donna sirofenicia. Tutto fa pensare a un passaggio dalla terra d’Israele, dove avviene la prima moltiplicazione dei pani, alla “regione di Tiro”, quindi in territorio pagano. Questo passaggio, questo attraversamento del mare, è inscritto anche nelle piccole differenze dei due racconti, che riguardano i numeri del pane moltiplicato o avanzato. Nel primo racconto, quello attuale, i pani moltiplicati sono cinque (e due pesci) e i cestini avanzati dodici. Nel secondo racconto, narrato al capitolo ottavo, i pani moltiplicati sono sette quante le sporte degli avanzi.
Dati casuali? Forse, ma questi numeri si prestano a interpretazione. Cinque sono i libri della Torà e dodici le tribù d’Israele. Sette, o settanta, è il numero delle nazioni pagane, secondo il computo simbolico che si faceva allora. Si ha la netta impressione che la prima moltiplicazione dei pani riguarda il popolo ebraico, mentre la seconda, in territorio pagano, è quella destinata a tutti gli altri popoli o genti. Questa impressione è confermata da un dettaglio linguistico. Gesù, prima di spezzare il pane, alza gli occhi al cielo e lo benedice. Ora, in Mc 6,41, per “benedire” si usa il verbo comune in ambito ebraico, euloghein; mentre in Mc 8,6 si usa un altro verbo, eucharistein. La benedizione ebraica quotidiana sul pane diventa, quasi insensibilmente, l’eucaristia cristiana.
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Ora, questo pane è unico, per Israele come per le genti. È questa la vera moltiplicazione, cioè la partecipazione anche dei gentili al pane benedetto da Gesù. Noi sappiamo che mangiare insieme il pane è stabilire una comunione, vuol dire diventare “compagni”, cioè entrare in alleanza. In ebraico il termine per “alleanza”, berit, deriva da una radice che significa, appunto, “mangiare”. Quando, sul Sinai, Mosè, Aronne e i settanta anziani entrarono in alleanza con il Dio d’Israele, “essi videro Dio e mangiarono e bevvero” (Es 24,11). Le nostre traduzioni si sentono imbarazzate da questo accostamento tra il mangiare e il vedere Dio. Perciò vi introducono una distanza logica o temporale: “videro Dio e ciò non ostante mangiarono”, oppure “videro Dio e poi mangiarono e bevvero”, come se i due atti fossero incompatibili. Invece è proprio nel mangiare lo stesso pane che si realizza l’alleanza, la comunione.
La moltiplicazione del pane da parte di Gesù è, dunque, un’estensione dell’alleanza di Dio a tutte le genti. Il vero miracolo non è l’abbondanza del pane, ma la comunione con tutti. Proprio questa comunione è il “pane necessario” che chiediamo nella preghiera insegnataci da Gesù e che riceviamo ogni volta che facciamo eucaristia.
fratel Alberto
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