Salva, Signore!
Siamo al capitolo 8 del vangelo di Matteo. A partire da questo capitolo Gesù comincia ad essere chiamato Signore: dal lebbroso, dal centurione, da chi desidera mettersi alla sua sequela e, nel nostro testo, dai discepoli che erano con lui sulla barca (8,2.6.21.25). Questi lo avevano seguito, specifica l’evangelista, e verosimilmente avevano lasciato tutto, radicalmente e senza indugiare, secondo le esigenze indicate da Gesù nei versetti immediatamente precedenti. Ora sono con Gesù, quando all’improvviso la natura è scossa, il mare e il vento si accaniscono contro di loro ed essi sono sopraffatti dalla paura.
Accade qualcosa di sconvolgente: “ed ecco vi fu un grande terremoto nel mare”. L’evangelista utilizza gli stessi termini con cui descriverà l’evento del mattino di Pasqua, quando l’angelo del Signore rotolerà la pietra. Al di fuori di questi due passi non vi sono in Matteo altre ricorrenze del termine terremoto. Anche l’annotazione “ma egli dormiva” – letteralmente era coricato, giaceva nel sonno – rimanda all’assenza della morte: “sono… tra i morti, come gli uccisi che giacciono nel sepolcro” (Sal 88,6).
I discepoli prorompono allora nel grido: “Salva, Signore!”, invocazione che tante volte risuona nei Salmi: “Risorgi, Signore! Salvami, Dio mio” (3,8) “Ti preghiamo, Signore: dona la salvezza” (118,25) “O Dio vieni a salvarmi, Signore vieni presto in mio aiuto” (70,2). Qui, è vero, lo indirizzano a Gesù, mentre normalmente era rivolto a Dio. Tutto l’episodio ha una connotazione pasquale, come anche la conclusione fa presagire. Infatti, la domanda: “Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?” annuncia la vittoria di Gesù sulla morte e sul male. Essa inoltre sembra prefigurare l’esperienza della chiesa nella storia, chiesa che ha ricevuto l’annuncio della vittoria del Signore ma sperimenta ancora il male, la morte, il silenzio. Ci si può chiedere: se questo è il grido di tutti i credenti, grido che Gesù stesso ha sentito di dover rivolgere al Padre (cfr. Gv 12,27), perché ora egli rimprovera i discepoli per la loro paura e mancanza di fede? Come si manifesta la fede? I discepoli avevano lasciato tutto per seguire Gesù e la forza che li aveva sostenuti nel fare questo passo rifletteva il dono ricevuto, la testimonianza interiore che avevano sperimentato e che aveva permesso loro di avere fiducia. Il dono della fede ha un aspetto misterioso che sfugge alla nostra comprensione, non è sovrapponibile alla certezza o alla mancanza di dubbi e di paura. Spesso le nostre certezze sono idoli ai quali ci aggrappiamo e che ci danno forza. La fede è un dono e nel regime del dono è invocata, custodita, fa entrare in una dinamica. Non è un possesso. Inoltre, proprio all’interno di una storia di fede si fa l’esperienza della lontananza e del nascondimento di Dio: “Ti sei avvolto in una nube, perché la supplica non giungesse fino a te” (Lam 3,44), “Perché, Signore, ti tieni lontano, nei momenti di pericolo ti nascondi?” (Sal 10,1).
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“Salva, Signore!” ha continuato ad essere il grido dei credenti lungo i secoli, l’invocazione che apre tutte le preghiere dei monaci, l’anelito umano che testimonia che tutti noi, al di là dell’appartenenza e della credenza, gemiamo di fronte al male, temiamo la morte perché la percepiamo come violenza, sappiamo che siamo stati creati per qualcos’altro. “Salva, Signore!” è una preghiera umile in cui il timore e la fede si mescolano riconoscendo che la salvezza è un dono.
sorella Raffaela
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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