Figlie
Due episodi incastonati uno nell’altro. Due storie distanti e imparentate dalla sofferenza. Due donne “figlie”, perdute e ritrovate. Una è la figlia “morta proprio ora” di un notabile di un villaggio della Galilea, l’altra è una donna con un problema ginecologico, forse una metrorragia cronica, e sarà Gesù a riesumare in lei la sua figliolanza. Una è giovanissima ed è già senza futuro, dell’altra non conosciamo l’età ma il numero che scandisce il tempo della sua malattia: ha alle spalle dodici anni di dolore e tormenti ma anche di restrizioni ed esclusione sociale, a causa del flusso di sangue e della legge di Israele che la etichetta come impura. In queste due storie c’è tutta la gamma dell’insensatezza, della miseria e delle assurdità umane che ci sovrastano. C’è la morte precoce e una malattia longeva, il lutto lacerante e il dolore testardo, la perdita inconsolabile e la triste sfigurazione dell’umano…
Gesù non fugge da questa brutale realtà, non chiude gli occhi di fronte ai delittuosi mali del mondo, ma nemmeno si propone come un mago salva tutti, un Mister Wolf risolve problemi. Le sue parole hanno il gusto del vino novello, i suoi discorsi hanno la fragranza del pane appena sfornato, le sue azioni offrono impensabili cammini di ripartenza, i suoi sguardi sono come tuffi nell’oceano della speranza. Gesù è il regalo straordinario di Dio all’umanità e in lui noi diventiamo figlie e figli pienamente riconosciuti e amati. La sua vita è fuoco divorante che accende in noi la brace sommersa della resistenza e dell’immaginazione. È per questo che la gente lo cerca, si prostra davanti a lui, lo tocca, lo invoca, si espone. Gesù sa sciogliere gli oscuri e aggrovigliati nodi dell’anima e del corpo che legano e schiacciano noi poveri esseri umani.
Ma il protagonista del nostro brano non è lui. È la fede del padre della bambina che si rivolge a Gesù con l’audacia di chi già sente l’odore della resurrezione della figlia. Non è Gesù che compie salvataggi estremi ma è la fede pensata e vissuta, sillogisticamente perfetta, sapiente e capace di gesti semplici e sinceri, della donna malata che la fa guarire reintegrandola nella società. Gesù semplicemente si fa presenza amica, entra nella trama delle nostre relazioni e dei nostri travagli, si lascia toccare dalla mano della donna, prende per mano la fanciulla: gesti di una tenerezza estrema.
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Gesù cura infondendo coraggio e scacciando i piagnucolosi, quelli che si lamentano sempre, per qualsiasi cosa. Gesù trasmette pace, restituisce l’autostima, libera dal peso della legge, suscita energia positiva, non opera miracoli trasgredendo le leggi naturali ma ci aiuta a cogliere che tutto è un miracolo, che ogni cosa e ogni istante che viviamo sono puro dono di un Dio compassionevole e misericordioso che continua a prendersi cura dei suoi figli e della sue figlie e di ogni angolo dell’universo. Sì, il miracolo più grande che possa capitarci è disseppellire la nostra figliolanza, riconoscere la nostra vulnerabilità e accogliere le altrui fragilità, lasciando spazio alla grazia trasformatrice.
fratel Giandomenico
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