Silenzio sui miracoli
Davanti a racconti come questo, non si deve chiedere cosa sia successo, né come Gesù sia riuscito a compiere simili guarigioni. Non serve nemmeno sapere se le cose si sono davvero svolte così. La domanda invece è: perché l’evangelista racconta questo o quell’altro episodio? Quale gioiosa notizia vuol trasmettere al lettore?
La risposta non è che Gesù è stato un meraviglioso guaritore, né che ha risvegliato dei morti o compiuto numerosi miracoli perché era rivestito della potenza di Dio. La risposta non è da cercare nel passato: “Che cosa è successo?”, ma nel presente: “Cosa questo racconto dice a noi, lettori oggi di questo evangelo?”.
Leggiamo un testo che è stato costruito letterariamente su dei parallelismi: da una parte una figlioletta di dodici anni, dall’altra una donna malata da dodici anni; da una parte un personaggio importante, capo di sinagoga, in situazione disperata a causa di sua figlia amata, dall’altra una povera donna sconosciuta, in situazione disperata a causa di una malattia che la rende impura, che si avanza furtiva per “rubare” una guarigione che crede ancora possibile.
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Anche l’inserzione dell’episodio relativo alla donna che perde sangue nel racconto della risurrezione della figlia di Giairo è un processo letterario: si fa così camminare il lettore da una situazione molto triste (la donna) ad una situazione disperata (la morte della figlia).
Infine, come può Marco pensare che l’ordine di Gesù che nessuno sappia ciò che è successo sarà rispettato? Questa conclusione è assurda, a meno che sia un mezzo letterario portatore di un contenuto importante per il lettore dell’Evangelo.
I due miracoli inseriti l’uno nell’altro insistono, in crescendo, da una parte sull’importanza della fede, non come adesione a un contenuto dogmatico, ma come fiducia nella persona di Gesù (“la tua fede ti ha salvata”; “Non temere, soltanto abbi fede!”). Non c’è situazione in cui dobbiamo abbandonarci alla disperazione, il Signore infatti tiene in mano tutto ciò che avviene. D’altra parte questi due miracoli ci rivelano un Gesù che non teme l’impurità, né quella dovuta al sangue, né quella della morte: Gesù s’inserisce, con la sua compassione, anche nelle situazioni più oscure e tenebrose della nostra vita, come luce che ridà vita.
Quanto alla conclusione, corrisponde a quella dell’Evangelo secondo Marco nel suo insieme: dalla tomba dove il ragazzo annuncia che Gesù è risorto, le donne “uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura” (Mc 16,8).
Anche qui, conclusione assurda, perché se così è, da dove Marco sa che Gesù è risorto? Invece, teologicamente, questo silenzio è importante: non è la risurrezione il luogo principale della manifestazione di Dio in Gesù, ma la sua croce; è davanti a Gesù morto che si deve proclamare: “Davvero questi era Figlio di Dio!” (Mc 15,39). Infinito abbassamento di Dio! Ma questo è possibile solo perché la croce è illuminata dalla luce pasquale.
fratel Daniel
Per gentile concessione del Monastero di Bose.
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