Sguardo di compassione
Il brano che leggiamo oggi riporta due episodi distinti. I discepoli al ritorno dalla missione raccontano a Gesù tutto quello che hanno fatto e Gesù li chiama con sé in disparte a riposarsi. Ma mentre si dirigono in barca verso un luogo deserto, la folla li precede, e Gesù si mette a insegnare loro. Ciò che illumina l’intero brano è lo sguardo di Gesù che vede i bisogni dell’uomo, conosce il suo smarrimento, la sua fame e la sua fatica e non rimane impassibile: “Ma ebbe compassione perché erano come pecore senza pastore”. Questo versetto è il centro di tutto il brano, ma potremmo dire che è il centro di tutto il racconto evangelico perché il movimento dell’incarnazione del Figlio di Dio è un movimento di profonda e infinita compassione per l’essere umano.
I discepoli sono presi dalla missione tanto che non hanno neanche il tempo di mangiare e le folle sono smarrite come pecore senza pastore. Sono dimensioni della vita in cui spesso ci troviamo anche noi, affaticati da mille impegni, sempre di corsa incapaci di vivere un tempo di riposo finiamo per smarrire il senso, la direzione verso cui orientare la nostra vita. Il Signore ci chiama a questo riposo che non è semplicemente svago, ma un tempo in cui ritrovare una dimensione spirituale della vita, ritrovare noi stessi nella relazione personale con il Signore Gesù. E noi possiamo entrare in questa relazione, in questo spazio di riposo e ascolto di noi stessi perché è il Signore a desiderare ardentemente di essere con noi.
Questo luogo deserto in disparte, in cui vivere la solitudine con il Signore non è un luogo di isolamento e di rifiuto del contatto con i fratelli e le sorelle, al contrario proprio grazie a questa relazione profonda noi diventiamo capaci di autentica compassione di fronte al bisogno dell’umanità smarrita. Gesù vede la folla e ne ha compassione e si mette ad insegnare loro.
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L’annuncio della buona notizia è la parola di speranza e di vita che sola può rispondere al bisogno di senso dell’essere umano. I discepoli vedono il bisogno della folla: “non hanno nulla da mangiare”, ma non comprendono che per essere discepoli del Signore Gesù occorre farsi carico del bisogno dell’altro a partire dalla nostra povertà. “Date loro voi stessi da mangiare”. Testimoniare la buona notizia del Vangelo non è atto eroico, possibile a chi ne avesse i mezzi anche materiali. Gesù ci chiama anzitutto a riconoscere la nostra povertà: “Quanti pani avete? Andate e vedete”. A partire da questa povertà, da ciò che noi siamo, possiamo andare incontro ai bisogni dell’altro.
Questa comunione rende presente il Signore in mezzo a noi, risponde ai bisogni autentici dell’essere umano, ci fa sovrabbondare dei beni materiali e spirituali perché ci fa comprendere ciò di cui realmente abbiamo bisogno nella nostra vita; la relazione con altri esseri umani.
Gesù è il buon pastore del salmo 23 che conduce le pecore su pascoli di erbe verdeggianti. Nella sua costruzione letteraria i versetti del salmo convergono verso un centro ove l’orante afferma: e tu sei con me.
Egli può sperimentare nelle avversità della vita, di fronte ai nemici e ai pericoli la fiducia e l’affidamento che gli vengono da questa intima consapevolezza. Quanto più noi ci facciamo prossimi ai fratelli e alle sorelle nel bisogno, pur con la nostra povertà e miseria umana, tanto più potremo sperimentare e vivere la presenza del Signore nelle nostre vite.
fratel Nimal
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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